La creator economy americana gode di ottima salute

Di il 07 Maggio, 2025
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Secondo il rapporto Measuring the Digital Economy commissionato dall’Interactive Advertising Bureau, i creatori di contenuti digitali sono in espansione, ma serve maggiore regolamentazione

Il numero dei creatori di contenuti digitali a tempo pieno negli Stati Uniti è passato da 200mila nel 2020 a 1,5 milioni nel 2024, secondo il rapporto Measuring the Digital Economy commissionato dall’associazione di categoria per le aziende di comunicazione Interactive Advertising Bureau – Iab, redatto in collaborazione con il professore emerito della Harvard Business School, John Deighton.

La crescita dei ricavi media è stata cinque volte superiore a quella degli altri nel quinquennio preso in considerazione dallo studio.

Questo ha portato i creator a essere il segmento più grande e in più rapida espansione nell’ambito del digitale: rappresentano il 30% circa sul totale dei 28 milioni di dipendenti del settore, mentre l’8% è impegnato su piattaforme come Uber, DoorDash e Airbnb.

Secondo il rapporto, l’economia supportata da internet rappresenta il 18% del Pil degli Stati Uniti. Un aumento di 16 punti percentuali rispetto al 2% del 2008.

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Foto: Canva.

Nel lungo periodo

Durante la pandemia, ma anche in tempi di crisi economica, la fruizione dei contenuti online è aumentata.

Il 2024 è poi stato definito dal New YorkerThe Year the Creators Took Over, cioè l’anno in cui davvero i creator hanno assunto maggiore potere nella diffusione e nella strutturazione del dibattito pubblico e della narrativa collettiva.

I motivi della crescita, secondo il rapporto, sono essenzialmente tre.

Innanzitutto, il budget destinato alla pubblicità si è spostato in larga misura sui canali online: piattaforme digitali, streaming ed editori.

Gli strumenti di creazione sono diventati più accessibili e intuitivi nel loro utilizzo, mentre l’IA ha aperto nuove possibilità per i contenuti.

La strutturazione di un sistema economico più regolamentato attorno ai singoli professionisti, che ha anche abbassato la soglia per la monetizzazione dei contenuti online.

È il caso di Substack e Beehiiv, ad esempio.

A fare realmente la differenza, ha dichiarato ad Axios Lora Kornfeld, co-autrice della ricerca dello Iab, sono le scelte dei consumatori, che hanno più fiducia nei creators che nelle aziende.

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Il Campidoglio degli Stati Uniti, sede del Congresso, nel quartiere di Capitol Hill a Washington DC. Foto: PICRYL.

Per voi, big tech e politici

Mappando lo stato attuale dell’economia statunitense, il rapporto ha due destinatari principali.

Da un lato, i giganti del tech, come Google, Meta e Amazon – che sono membri dello Iab – oltre a società del settore dei media come Disney, NbcUniversal e Netflix.

Dall’altro, proprio i legislatori.

Se infatti i lavoratori dell’economia digitale sono in crescita, non si può ignorare questo stato di cose e bisogna intervenire con una regolamentazione adeguata.

Di sicuro, il rapporto è uno strumento utile anche alle aziende tradizionali, che possono utilizzarlo per migliorare la selezione dei destinatari dei propri investimenti e valutare nuove acquisizioni.

Publicis ha infatti acquistato l’agenzia Influential, mentre Live Nation ha acquistato la quota di maggioranza nella società di gestione dei talenti Timeline, entrambe focalizzate sulla creazione dei contenuti sui social media.

L’economia degli influencer in 20 fra i maggiori Paesi a livello globale vale circa 370 miliardi di dollari, con oltre 360 milioni di creator in totale.

Non si sa quanto durerà questa crescita che oggi appare inarrestabile. Gli alti ricavi di questi professionisti potrebbero infatti anche causare un distacco da parte degli utenti-. È il cosiddetto de-influencing.

Ma fino a quel momento anche l’Europa dovrà tenerne conto per non rimanere indietro.

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.