Dal 25 settembre 2022, con andamento altalenante, si discute del tema dell’egemonia culturale in Italia e dei presunti tentativi della destra al governo di appropriarsene. Le nomine di alcuni supposti intellettuali d’area a capo di enti culturali (ad esempio Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale e Alessandro Giuli al Maxxi) sembrano confermare l’ipotesi del tentativo di uscire da una condizione di minoranza. Tuttavia, il tema dell’egemonia non può essere ridotto al presidio di alcune funzioni burocratiche; è qualcosa di più ampio che innerva la società. Il concetto di egemonia al quale tradizionalmente si fa riferimento in Italia è quello formulato da Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere. In questa accezione, secondo il Dizionario di politica curato da Bobbio, Matteucci e Pasquino, l’egemonia consiste soprattutto nella capacità di direzione intellettuale e morale da parte di una classe dominante o aspirante tale, per accreditarsi come guida legittima e diventare classe dirigente con il consenso o la passività della maggioranza della popolazione. Secondo Gramsci, l’egemonia è complementare al dominio, che viene esercitato sui gruppi antagonistici attraverso gli apparati coercitivi della società politica, mentre l’egemonia si esercita sui gruppi sociali alleati o neutrali attraverso gli apparati egemonici della società civile. In un paese dove la società civile è sviluppata, la conquista del potere non è possibile se la forza che vi ambisce non diventa egemone. Al concetto di egemonia è collegato quello di intellettuali organici (che Gramsci chiama anche “condensati”), che hanno il compito di condurre la guerra di posizione per il potere.
La tesi corrente è che questa lezione sia stata appresa e praticata dalla sinistra (in particolare dal Partito comunista italiano), che ha occupato – utilizzando sempre la terminologia gramsciana – le casematte del campo avversario. Ma se questa è la teoria, cosa è successo nella storia del nostro Paese? Ci sono tanti esempi probanti, uno dei più significativi è quello della casa editrice Einaudi: i suoi prestigiosi scrittori e potenti direttori editoriali sono stati per anni di supporto al Pci, almeno fino al trauma della rivolta ungherese del ‘56. Inoltre, quasi tutto il cinema neorealista era, diremmo ora, progressista.
Ma se alziamo lo sguardo e guardiamo in Europa e oltre? Recentemente è stato ripubblicato un pamphlet di Giovanni Raboni, nel quale il poeta e critico sostiene che gran parte degli scrittori del ‘900 sono ricollegabili a una qualche forma di cultura di destra: per l’Italia, Croce, D’Annunzio, Gadda, Landolfi, Marinetti, Montale, Palazzeschi, Papini, Pirandello, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa. Per il resto del mondo il pantheon è ovviamente più ampio, e spazia da Céline a Cioran, da T.S. Eliot a Pound, da Borges a Mann.
Ciò che sembra rilevare è quindi la capacità di presidiare gli snodi della trasmissione del sapere, di connettere le competenze con le istanze politiche. La sinistra italiana, in questo, è stata maestra. Ma pensare che siano solo gli scrittori, gli intellettuali o i funzionari culturali a determinare l’egemonia è insufficiente e ci manda fuori strada. Può essere fruttuoso riferirsi al concetto, più ampio e ricettivo, di “sistema di credenze”, utilizzato tra gli altri dal premio Nobel Douglas C. North per spiegare il cambiamento economico (Capire il processo di cambiamento economico, Il Mulino, 2006). North scrive che le scienze cognitive ci hanno insegnato che la mente non funziona in astratto, ma nei limiti di una struttura di credenze incorporate nei codici culturali, nel linguaggio, nei miti e nei sistemi simbolici. Le credenze dominanti – quelle degli imprenditori politici ed economici che sono in condizione di assumere decisioni – determinano con il tempo lo sviluppo di un’elaborata struttura di istituzioni, la quale a sua volta determina la performance economica e politica. La matrice istituzionale si modifica e si adatta in un processo continuo di feedback. L’egemonia non è più un tema culturale, ma gli imprenditori politici ed economici, con la loro agenda e le loro priorità, diventano i veri propulsori che muovono la società e la cambiano.