Media politics. Alla ricerca del giornalismo perduto

Di il 28 Aprile, 2024
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Negli ultimi vent'anni l'industria dei media ha registrato una destrutturazione e una riconfigurazione mai verificatesi in passato

Sembra difficile applicare all’industria dei media il principio della “distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter. La dinamica di questo settore appare generalmente quella di un gioco a somma negativa, dove sono più numerose le testate giornalistiche distrutte rispetto a quelle nate a seguito della distruzione delle altre. Questo è ancora più vero negli ultimi vent’anni, dove l’industria dei media ha registrato una destrutturazione e una riconfigurazione mai verificatesi in passato.

Un modo efficace ed emozionante di avvicinarsi al tema è vedere il pluripremiato documentario Page One, che nel 2011 descriveva la dolorosa fase di transizione del The New York Times sullo sfondo dell’emergere dell’informazione online. Qualche anno fa, Andrey Mir, considerato uno dei più grandi esperti di media al mondo, ha pubblicato Postjournalism and the Death of Newspapers, un testo importante per capire il punto di snodo in cui si trova l’informazione globale. Nel libro, Mir ripercorre la storia dei giornali iniziando dagli “avvisi” di Venezia del ‘500, che viaggiavano insieme alle navi mercantili, editati dalle “scrittorie”, di fatto le prime agenzie di stampa della storia. Poi è arrivato Gutenberg, con tutto ciò che ne è seguito.

Secondo Mir, ci sono due tipi di giornalismo: quello commerciale, che vende notizie ai lettori, e quello politico, che vende programmi politici a quelli che Mir definisce “patron”, che potremmo tradurre come patrocinatori o committenti politici. I lettori pagano per leggere le notizie, i patron pagano perché siano vendute le notizie che interessano a loro. Questo duplice modello è andato avanti per 500 anni ma nel Novecento il consumismo di massa ha fatto sì che i giornali non vendessero più notizie ai lettori ma audience alle aziende e ai loro pubblicitari.

Succede poi che il 15 novembre 2011 i primi a dare la notizia dello sgombero dei manifestanti di Occupy Wall Street da Zuccotti Park non siano i giornalisti dell’Associated Press, ma Twitter. Con i social media, il giornalismo non ha più il monopolio dell’informazione e lo perde per sempre. Si entra nella fase del post-giornalismo, che è la morte dell’imparzialità e della qualità, e il trionfo della polarizzazione. Mir passa in rassegna alcune soluzioni, come ad esempio quella di affidarsi a fondazioni ma, per un motivo o per l’altro, si rivelano tutte fallimentari. A metà degli anni ’20 del terzo millennio ci sarà il punto di non ritorno, cinque anni di agonia e poi la fine del giornalismo come l’abbiamo conosciuto.

Va però detto che sul tema delle fondazioni, che Mir liquida perché spingerebbe i giornalisti verso un attivismo non imparziale, qualche anno prima l’economista francese Julia Cagé (Salvare i media. Capitalismo, crowdfunding e democrazia) aveva fatto una proposta interessante: trasformare le aziende media in una via di mezzo tra le fondazioni e le società per azioni. Un sistema che, da un lato, renderebbe perpetuo l’investimento, a tutela dell’indipendenza dei giornalisti, e, dall’altro, permetterebbe di reinvestire interamente i profitti nell’impresa. I contributi sarebbero defiscalizzati, come già avviene in altri ambiti non profit. In questo modo, si innescherebbe un meccanismo virtuoso di crowdfunding diffuso, a favore soprattutto degli azionisti minori, siano essi i lettori o i giornalisti stessi, secondo un modello associativo, minimizzando il rischio dell’ingresso di editori così ricchi da diventare onnipotenti.

Il libro di Mir, tutt’altro che ottimistico, si chiude recuperando una metafora letteraria già utilizzata da Marshall McLuhan: in un racconto di Edgar Allan Poe (La discesa nel Maelström), un marinaio si salva da un tornado perché sceglie di non opporvisi, ma di comprenderne razionalmente la dinamica interna. In questo modo, diceva McLuhan e Mir con lui, forse anche noi possiamo farcela.

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Alberto Paletta si occupa di comunicazione e relazioni istituzionali presso un gruppo finanziario. Pur attratto dalla politica attiva, preferisce dedicarsi a quella contemplativa. Milanese d'adozione e di elezione, un po' come Stendhal.