I brand americani costretti a reinventare le proprie campagne pubblicitarie

Di il 23 Settembre, 2025
Mentre in Canada e in Europa sono nati movimenti di boicottaggio ai prodotti importati dagli Stati Uniti, la comunicazione delle aziende d'oltreoceano punta sul contributo alle economie locali
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Nel mondo dei brand – piccoli o grandi che siano – l’origine geografica è da sempre un elemento identitario molto potente. Ma oggi, per i grandi marchi americani, l’americanità non è più necessariamente un vantaggio.

In un contesto geopolitico sempre più polarizzato, marchi come Coca-Cola, McDonald’s e Procter & Gamble stanno riscrivendo il proprio racconto per il pubblico europeo, puntando su una narrazione locale e inclusiva.

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Campagna europea

Coca-Cola ha lanciato in Germania una campagna che si chiama “Made in Germany” e si focalizza sull’enfatizzazione della produzione nazionale e il contributo all’economia locale, come si legge sul Wall Street Journal.

Lo storytelling si sposta dai valori globali al radicamento territoriale: spot che celebrano i lavoratori tedeschi, podcast che raccontano la nascita di prodotti come Fanta e Mezzo Mix, e documentari che omaggiano i piccoli rivenditori britannici.

Il messaggio è chiaro: “Siamo parte della vostra comunità”.

McDonald’s segue lo stesso approccio, sottolineando l’origine locale degli ingredienti e gli investimenti nel mercato tedesco.

Ad adottare una narrazione simile è anche la multinazionale statunitense Procter & Gamble, che ha affidato al conduttore Kai Pflaume il compito di guidare i consumatori attraverso i suoi stabilimenti tedeschi, in una campagna che esplora il concetto di “casa”.

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Oltre la pubblicità

Queste operazioni non sono soltanto un nuovo modo di fare pubblicità, ma vogliono indurre un cambiamento nella percezione dei clienti.

Secondo recenti sondaggi, l’immagine degli Stati Uniti è in calo in molti paesi europei e cresce la diffidenza verso i marchi che incarnano valori troppo legati alla politica americana, sottolinea il Wall Street Journal.

La comunicazione diventa, quindi, uno strumento di mediazione culturale, capace di disinnescare tensioni e rafforzare la fiducia e la nuova narrazione locale una leva strategica per preservare la rilevanza globale.

Non tutti gli esperti concordano sull’efficacia di queste campagne: alcuni sostengono che il vero valore dei brand globali risieda nella loro autenticità e universalità, non nella localizzazione.

E i dati di vendita, al netto di casi isolati come Tesla, sembrano confermare che le intenzioni dichiarate dai consumatori non sempre si traducono in comportamenti concreti.

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Contro le aziende americane

In questi ultimi mesi, però, alcuni consumatori europei hanno indetto una campagna di boicottaggio dei prodotti importati dagli Stati Uniti.

Un trend che in origine è nato in Canada ma si è rapidamente esteso ai Paesi dell’Unione Europea, soprattutto dopo l’annuncio dei dazi e le minacce di annettere la Groenlandia.

Proprio in Danimarca il movimento ha così tanta trazione che il Salling Group, il più grande gruppo della grande distribuzione del Paese con oltre 1.400 punti vendita con le sue Bilka, føtex e Netto, ha deciso di aiutare i clienti che partecipano al boicottaggio aggiungendo una stella sul cartellino dei prodotti di marchi europei.

Anche in Francia, il neonato movimento “No, merci”, nato da un’idea dell’ex deputato Bertrand Pancher, sfrutta un’app con Qr Code per identificare i prodotti provenienti dagli Stati Uniti, come si legge su Rsi.

Trovare alternative ai brand statunitensi così è diventato ancora più semplice e immediato.

In un post su LinkedIn l’amministratore delegato di Salling Group, Anders Hagh, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto una serie di richieste da parte di clienti che desiderano acquistare generi alimentari da marchi europei. Per far fronte a questo, introdurremo una nuova marcatura sui nostri cartellini elettronici dei prezzi in Bilka, føtex e Netto, dove una piccola stella indicherà se il marchio è di proprietà di un’azienda europea”.

I negozi del gruppo, ha specificato Hagh, “continueranno ad avere sugli scaffali marchi provenienti da tutto il mondo, e sarà sempre il cliente a scegliere. La nuova etichetta è solo un servizio aggiuntivo per i clienti che desiderano acquistare prodotti con marchi europei”.

Tra chi dice sì e chi dice no, resta il fatto che ridurre la distanza culturale e riaffermare la propria rilevanza locale è una leva strategica per le multinazionali statunitensi.

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Chiara Buratti
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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).