
Foto copertina: European Journalism Observatory, Flickr.
Dopo anni di battaglie, sembra che i gruppi editoriali siano in parte riusciti a far passare il messaggio alle big tech: utilizzare i contenuti giornalistici ha un costo e occorrono contratti per regolarne l’uso. A non volersi adattare a questo standard sembra essere soprattutto Google, che, sottolinea Bloomberg, ha firmato molte meno collaborazioni rispetto ai competitor.
Il motore di ricerca californiano vuole ridurre le tensioni con il mondo dell’informazione e, per riuscirci – scrive l’agenzia di stampa newyorkese – avrebbe in programma di siglare accordi di licenza legati ad alcuni dei suoi servizi di intelligenza artificiale, come AI Overviews e il chatbot di Gemini, con circa 20 testate nazionali.
In più, ha avviato una collaborazione con l’Economist e l’Atlantic per la creazione di raccolte personalizzate disponibili sullo strumento IA NotebookLM.
A modo suo
Per ora, il gruppo di Mountain View si è però rifiutato di fornire dettagli economici e contrattuali su entrambi i fronti.
“Google pensa ancora di essere speciale e non dover rispettare le stesse regole imposte al resto del settore”, ha detto Matthew Prince, amministratore delegato di Cloudfare, società con sede a San Francisco che si occupa di servizi per la sicurezza dei siti web, in un’intervista citata da Bloomberg.
L’atteggiamento remissivo dell’azienda guidata da Sundar Pichai nei confronti dei media è noto.
Mentre lo scorso anno il motore di ricerca aveva veicolato quasi il 40% del traffico esterno complessivo sui siti di informazione attraverso le funzioni Discover (25% delle visite totali) e Search (14%), la diffusione su scala globale del servizio AI Overviews e – in misura minore – AI Mode sta danneggiando in maniera rilevante gli ingressi sui portali dei giornali.
Anche a causa di questi servizi IA di Google, infatti, a maggio di quest’anno 37 delle 50 testate statunitensi hanno avuto un minore afflusso di utenti nazionali ai loro siti rispetto allo stesso mese dello scorso anno.

La sede dell’Associated Press a New York. Foto: Flickr.
Qualcosa è cambiato (forse)
Alcuni timidi segnali che arrivano da Mountain View sembrano però andare in una direzione diversa.
“Google e le altre piattaforme si stanno rendendo conto che, se non per effetto delle politiche pubbliche, allora della tecnologia, l’accesso illimitato ai dati web sta per finire”, ha dichiarato David Gehring, amministratore delegato di Distributed Media Lab, società che collabora con editori e inserzionisti.
“Devono firmare accordi di licenza, altrimenti non ci sarà più sangue da iniettare nelle vene del mostro dell’IA”, ha aggiunto.
Questo significa che anche la società di Pichai dovrà allinearsi “a quanto le grandi aziende IA sostengono da tempo”, ha specificato Prince, riferendosi al fatto che “i fornitori di contenuti”, dunque i giornali, “devono essere pagati per quello che producono”.
Bloomberg ha ricordato che, finora, la chiusura del gruppo californiano è sempre stata basata sul principio del fair use – o fair dealing nel Regno Unito – secondo cui avrebbe la possibilità di utilizzare materiali protetti da copyright per fini legati all’istruzione, ricerca o il semplice commento.
Tuttavia, alcuni recenti accordi, come quello stretto tra l’Associated Press e il chatbot GeminiAI, sono soprattutto incentrati sulla licenza di contenuti e sembrano dunque mettere in discussione, almeno in minima parte, tale posizione.
Nonostante questo, Google resta comunque molto lontana dal numero di collaborazioni firmate da OpenAI e Perplexity con gli editori e anche dall’atteggiamento pro-attivo assunto di recente da Amazon.

La sede centrale di Google a Mountain View, in California. Foto: Flickr.
Terza via
Nel frattempo, Google e due riviste di primo piano, l’Economist e l’Atlantic, stanno sperimentando un nuovo modo per cooperare, attraverso il servizio NotebookLM, uno strumento IA del motore di ricerca che permette di analizzare dei documenti caricati dall’utente e rispondere a domande in merito, generare riassunti e creare diversi contenuti interattivi, basati soltanto sulle fonti selezionate.
Di recente, è stato aggiunto Audio Overviews, un servizio in grado di creare delle note audio in stile podcast, a una o più voci, incentrate sui documenti selezionati.
Come ha spiegato Press Gazette, le due testate sono tra gli otto partner di Google ad aver creato i propri featured notebook, ossia raccolte fornite e curate direttamente dalle rispettive redazioni su vari temi trattati, in questo caso, dai due magazine.
Ad esempio, l’Economist ha un notebook basato sul suo rapporto annuale The World Ahead, formato su analisi di politica internazionale ed economia.
L’Atlantic, invece, ha fornito un taccuino virtuale di consigli basati sui numeri della rubrica How to Build a Life del suo autore Arthur Brooks.

Sundar Pichai, ad di Google, all’edizione del 2017 dell’evento Google IO. Foto: Wikimedia Commons.
Guadagni degli editori
I riassunti delle due riviste sono “accessibili a tutti gratuitamente, perché si basano su contenuti di dominio pubblico o perché abbiamo ottenuto i diritti globali dagli autori o dagli editori originali”, ha spiegato in un articolo Steven Johnson, direttore editoriale e cofondatore di NotebookLM.
Dunque, non sono stati pubblicati dettagli sulla natura contrattuale ed economica di questi accordi – se le testate abbiano concesso gli ormai comuni contratti di licenza stipulati con le società di IA o altro tipo di collaborazioni.
Per i magazine, i vantaggi stanno nella novità che i notebook rappresentano per il consumo di prodotti giornalistici, che potrebbe diventare più interattivo.
Sono consigli di lettura guidati, evidenzia Press Gazette, nei quali, da un lato, l’autore mantiene il pieno controllo e, dall’altro, i lettori possono accedere a diversi servizi e modalità di lettura.
Il pubblico può “davvero immergersi in quei contenuti”, ha detto Jennifer Devereux, direttrice dello sviluppo corporate e vicepresidente esecutiva delle partnership strategiche dell’Economist.
“Si tratta di aiutare i lettori a interagire con essi attraverso un’esperienza diversificata”, come, ad esempio, chiedere previsioni politiche ed economiche basate sui contenuti del settimanale britannico.
Di conseguenza, il termine lettura amplierà le sue implicazioni, secondo l’amministratore delegato dell’Atlantic, Nicholas Thompson.
“I libri del futuro non saranno più statici: alcuni ti parleranno, altri si evolveranno con te, altri ancora esisteranno in forme che oggi non possiamo immaginare”.
E, in questo percorso, ha sottolineato, Google sta facendo “un lavoro pionieristico”.
Per ora, però, i limiti alle funzioni disponibili sono ancora parecchi, a detta dello stesso Johnson.
Sui featured notebook non si possono costruire note audio e sono consultabili solo in inglese.
I link per consultarli sono presenti in un blog di Google.