1.Le multinazionali arene dell’attivismo filo-palestinese
Le multinazionali americane sono sempre meno tolleranti nei confronti di un attivismo considerato troppo aggressivo o, addirittura, distruttivo per i luoghi di lavoro. La scorsa settimana, circa 50 dipendenti di Google sono stati licenziati per aver partecipato a proteste filo-palestinesi che violavano il codice di condotta aziendale.
In una nota ai dipendenti, Sundar Pichai – CEO di Google – ha riconosciuto la “cultura della discussione vivace e aperta” dell’azienda, ma ha anche sottolineato le politiche e le aspettative riguardo al comportamento sul posto di lavoro: si tratta di business, non di un luogo in cui agire disturbando e facendo sentire poco sicuri i colleghi, o un posto da utilizzare come piattaforma personale per discutere di politica.
Diversi comunicatori hanno spiegato che i management si impegnano regolarmente, attraverso meeting costruttivi e una corretta comunicazione interna, a mantenere l’equilibrio in azienda, sottolineando che le proteste pacifiche sarebbero tollerate.
Tuttavia, hanno anche evidenziato che, nel caso in cui l’attivismo diventasse nocivo per il business o creasse un ambiente ostile per i dipendenti, le aziende sarebbero pronte a intraprendere azioni sanzionatorie – compreso il licenziamento. I comunicatori stanno anche lavorando a stretto contatto con le funzioni HR per monitorare le piattaforme interne per garantire il rispetto delle policy aziendali.
L’adozione di codici di condotta più restrittivi sta creando un precedente non poco rilevante in vista di una stagione elettorale fortemente polarizzata negli...