
Foto copertina: una bambina in cerca di cibo a Gaza, fotografata il 25 agosto 2024. Foto: Jaber Jehad Badwan, Wikimedia Commons.
Ci sono diversi modi in cui influencer e content creator possono contribuire al mondo dell’informazione e il caso di Gaza li riassume in maniera chiara.
Da un lato, come sottolinea l’Economist, diverse personalità social palestinesi stanno svolgendo un lavoro di documentazione sul campo simile a quello giornalistico di quanto avviene ogni giorno nella striscia.
Si tratta di testimonianze di grande rilevanza, perché i reporter sul campo sono stati decimati.
Secondo Reporter Without Borders, l’esercito israeliano ha ucciso 220 giornalisti in meno di due anni.
Dall’altro, il governo di Benjamin Netanyahu ha pagato dieci influencer statunitensi e israeliani, consentendo loro di entrare a Gaza, laddove i cronisti dei media internazionali non possono entrare, mentre i pochi rimasti vengono bombardati.
Lo scopo è quello di diffondere una narrativa diversa rispetto ai fatti riportati dalle organizzazioni delle Nazioni Unite – secondo cui le politiche messe in atto da Israele hanno causato una carestia nell’area, impedendo alle scorte di cibo di entrare – ossia che la responsabilità per la gravissima situazione umanitaria sarebbe da imputare proprio alle stesse agenzie dell’Onu, che consegnerebbero i carichi alimentari ai terroristi di Hamas.
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Chi c’è a Gaza
Tra i creator menzionati dall’Economist c’è Omar Shareed, un ragazzo ammesso al Dartmouth College che, prima di raggiungere gli Stati Uniti per intraprendere il percorso universitario, ha pubblicato dei video e delle foto delle rovine e lo scorso dicembre aveva lanciato una campagna per riuscire a partire dalla striscia proprio per raggiungere il New Hampshire.
Insieme all’amico Mohammed Herzallah, aveva anche lanciato sui social media un programma, chiamato Mohammed and Omar Show, che documentava la loro routine a Gaza durante la guerra.
Anche Mohammed Hatem, un bodybuilder amatoriale chiamato su Instagram Gym Rat in Gaza, racconta la propria vita nella striscia, focalizzandosi sulle difficoltà di assicurarsi il fabbisogno calorico giornaliero di cui necessiterebbe per allenarsi come vorrebbe.
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Influencer e propaganda
I volti famosi dei social media possono utilizzare i propri canali per mostrare senza filtri situazioni disastrose in luoghi poco accessibili per le testate tradizionali.
Non sempre, però, i loro scopi coincidono con quello di far vedere la realtà dei fatti e sensibilizzare in maniera sana il proprio pubblico.
Dittature come la Cina e la Corea del Nord hanno infatti aperto le porte a creator occidentali – spesso statunitensi –, pagandoli e invitandoli nei due Paesi per darne una presunta immagine positiva di falsa libertà.
Di recente, riporta il Guardian, anche l’esercito degli Stati Uniti ha iniziato a stringere collaborazioni con diversi influencer per mostrare ai più giovani, in particolare la generazione Z – ossia i nati all’incirca tra la seconda metà degli anni ’90 e il 2010 – le possibilità e i vantaggi della vita militare.
Gli sforzi per il reclutamento passano anche per i contenuti sponsorizzati di creator che, di norma, trattano di argomenti molto diversi, dal lifestyle, alla cucina, agli sport estremi.
Secondo il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, la strategia starebbe funzionando.
“Dopo anni di carenze, gli arruolamenti stanno risalendo e sono ora ai massimi degli ultimi 30 anni”, perché, sostiene Trump, nel Paese ora c’è “uno spirito incredibile”.
In realtà, come hanno segnalato diverse testate, fra cui Npr e Associated Press, la tendenza di crescita era evidente già ben prima della rielezione del presidente repubblicano.