I talk show resistono allo streaming ma non si sa ancora per quanto

Di il 08 Maggio, 2025
Everybody's Live, il programma settimanale di John Mulaney che conduce su Netflix ricorda Late-night e rappresenta un banco di prova per questo format nel mondo delle piattaforme streaming

Per John Mulaney, Everybody’s Live, il talk show settimanale che conduce su Netflix è “un ritorno al passato per certi versi”. E, in effetti, sembra ispirarsi a Late-night, il celebre talk americano che ha visto alternarsi in conduzione Dick Cavett, David Letterman e Conan O’Brien.

“È come rievocare il passato, anche se non esattamente come era. Ma nessun elemento è completamente nuovo”, ha detto Mulaney in un’intervista dal suo ufficio soleggiato di Hollywood dove sta preparando l’ultimo episodio del suo programma, Everybody’s Live, come si legge sul New York Times.

Lo spettacolo del signor Mulaney rappresenta un test importante: il format tradizionale del talk show, quello con il monologo di apertura, la presenza di ospiti famosi, le esibizioni musicali dal vivo e una spalla, può sopravvivere nell’era dello streaming oppure il futuro è qualcosa di completamente diverso e molto più simile ai podcast?

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Stephen Colbert conduce dal 2015 The Late Show with Stephen Colbert, in onda sulla Cbs. Foto: Wikimedia Commons.

Talk show del futuro

Con il passaggio dell’industria televisiva allo streaming, molti vecchi generi hanno fatto il loro ingresso sulle piattaforme: dalle commedie ai polizieschi, per non parlare del crime, dei reality e delle soap opera.

Ma questo non è accaduto per i talk show.

Anche sulle reti tradizionali e sulla tv via cavo, gli ascolti dei talk in seconda serata sono in calo e gli introiti pubblicitari sono crollati.

E pure il numero di programmi sta diminuendo, tanto che gli Emmy Awards dello scorso anno hanno avuto un candidato in meno per mancanza di concorrenti e, quest’autunno, la Cbs rinuncerà alla programmazione della fascia oraria delle 00:30 per la prima volta in trent’anni.

“Di tutte le trasmissioni tradizionali, la seconda serata potrebbe essere la prima a finire nel dimenticatoio”, ha affermato Jim Bell, ex showrunner di The Tonight Show sulla Nbc.

“È costoso da realizzare, difficile da monetizzare e non è più un appuntamento fisso. Anche se ha ancora un forte impatto culturale, dal punto di vista commerciale è il più vulnerabile”.

Nel 2018, i cinque programmi notturni condotti da Stephen Colbert, Jimmy Fallon, Jimmy Kimmel, James Corden e Seth Meyers generavano un fatturato pubblicitario complessivo stimato in 439 milioni di dollari secondo Guideline.

Nel 2022, quella cifra era scesa a 277 milioni di dollari per toccare, l’anno scorso, i 220,6 milioni di dollari, con un calo di quasi il 50% rispetto al 2018.

Tuttavia, i conduttori dei programmi serali restano delle grandi celebrità.

Parallelamente, altri tipi di talk show, invece, stanno andando benissimo.

In America, Hot Ones, interviste piccanti a celebrità note, è un vero successo, e quest’anno si prevede una guerra di offerte per i diritti di streaming.

Il ritorno di Jon Stewart, una volta a settimana, al Daily Show lo scorso anno è stato un grande traguardo per Comedy Central, con ascolti da record.

Podcaster e streaming

Molti podcaster registrano i loro programmi e li diffondono sulle piattaforme video.

Così, secondo diversi studi, YouTube ha superato anche Spotify e Apple.

Foto: Pexels.

Dall’anno scorso, secondo la Cnn, le star dei podcast hanno firmato accordi mediatici per cifre astronomiche, pari a quanto venne valutata Friends.

Tra questi, figurano Joe Rogan (250 milioni di dollari), Alex Cooper (125 milioni di dollari), i tre conduttori di SmartLess (100 milioni di dollari) e i fratelli Jason e Travis Kelce (altri 100 milioni di dollari).

“I confini tra podcast e talk show si stanno facendo sempre più sfumati”, ha commentato Ted Sarandos, co-amministratore delegato di Netflix, durante una conferenza.

“Con la crescente popolarità dei podcast video, sospetto che ne vedrete alcuni anche su Netflix“.

Prima di Everybody’s Live di Mulaney, Netflix sembrava aver abbandonato del tutto i talk show.

Comici famosi come Chelsea Handler, Norm Macdonald, Joel McHale e Michelle Wolf hanno condotto dei talk sulla piattaforma di streaming tra la fine del 2010 e l’inizio del 2020, senza grande successo, e il programma di Sarah Silverman su Hulu è stato cancellato dopo due stagioni.

Che cosa ci racconta questa storia? Probabilmente che il problema potrebbe risiedere nel fatto che un formato che ha funzionato a lungo nella televisione tradizionale potrebbe non andare bene su un nuovo mezzo.

“Sulle piattaforme digitali, come YouTube o TikTok, i talenti si collegano al pubblico proprio come farebbero sulla tv tradizionale, ma il modo in cui lo fanno è molto diverso – ha affermato Chris Licht, ex produttore esecutivo di “The Late Show” su Cbs ed ex presidente della Cnn, come si legge sul New York Times.

“Quindi il format deve adattarsi”.

John è unico

Robbie Praw, vicepresidente di Netflix per i format stand-up e comedy, ha dichiarato in un’intervista che inizialmente l’azienda non aveva “cercato un altro talk show” ma piuttosto era interessata “a entrare nel business di John Mulaney”, aggiungendo: “John è così unico”.

La prima stagione della serie, intitolata Everybody’s in LA, è durata solo sei episodi, ma è stata un successo.

La prima puntata è persino apparsa nella classifica giornaliera delle dieci serie tv più viste negli Stati Uniti su Netflix.

Così, la piattaforma ha ordinato 12 episodi per quest’anno e ha cambiato il titolo in Everybody’s Live.

Nella serie non sono mancati ospiti di grande fama. Tra le superstar della comicità, Letterman, O’Brien, Tina Fey, Bill Hader e Ben Stiller.

E sebbene lo spettacolo segua un tema preciso, come organizzare un funerale, chiedere un prestito, essere licenziati, Mulaney non segue le orme di Colbert o di John Oliver, dedicando gran parte dello spettacolo all’attualità politica.

L’esito di Everybody’s Live potrebbe essere un elemento chiave per determinare se i responsabili dello streaming continueranno a cimentarsi con il format o se lo abbandoneranno del tutto.

Intanto, si legge sul New York Times, Mulaney ha lasciato intendere di essere interessato a realizzare un’altra stagione.

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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).