
Il mondo dell’editoria ha già annunciato diverse collaborazioni con le maggiori società di intelligenza artificiale.
Tra le testate italiane, il Corriere della Sera utilizza l’IA per fornire versioni audio degli articoli. Gedi ha stretto un accordo con OpenAI per lo sviluppo tecnologico, le applicazioni pratiche e la formazione dei giornalisti.
Il gruppo 24 Ore ha deciso di investire nell’IA per ottimizzare il lavoro giornalistico ed editoriale e il Fatto Quotidiano sta sperimentando l’IA da un team ristretto, guidato dal vicedirettore online Simone Ceriotti.
Anche il gruppo Class sta integrando l’IA nei processi editoriali e la trasparenza, come si legge sul sito dell’Ordine dei Giornalisti.
Quali sono, quindi, le nuove competenze richieste ai giornalisti che lavorano nell’era dell’IA?

La sede del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano. Foto: Wikimedia Commons.
Nuove skill
In una visione ottimistica del potenziale dell’IA, i giornalisti sarebbero liberi di tornare in strada a cercare storie, presenziare eventi di interesse, viaggiare.
A fare il lavoro “noioso” ci pensa il software.
Ma mentre l’industria si confronta con considerazioni legali, etiche e persino esistenziali dell’uso dell’intelligenza artificiale nel giornalismo, la tecnologia galoppa alla velocità della luce.
Chi resta indietro, quindi, è perduto?
Tra le sfide che il giornalista d’oggi è chiamato a dover affrontare, il docente di giornalismo Robin Brown ne identifica alcune su PressGazette.
“Come docente di giornalismo, è mio compito capire come insegnare agli studenti a usare l’IA, trasmettendo, al contempo, i rischi e le linee rosse dell’utilizzo del software in un ambiente accademico o professionale”.
Uno modo in cui i docenti costruiscono moduli e programmi, sottolinea, è quello di “osservare quello che sta accadendo nell’industria”.
Tra le skill richieste al giorno d’oggi, c’è quindi quella di avere padronanza con i modelli linguistici di grandi dimensioni – cosiddetti Large language models – come ChatGpt per la ricerca, le riscritture e il perfezionamento.
Ma non solo. “Si trascura come usare l’IA nel giornalismo e nella ricerca Google”.
Eppure, con la conoscenza di qualche codifica elementare, come “piccoli accorgimenti di punteggiatura in una query di ricerca che costringono il motore di ricerca a includere, escludere o affinare i risultati – chiunque può usare questi siti per migliorare enormemente la propria ricerca giornalistica”, spiega Brown.
Conoscere i modelli
Allo stesso modo, però, è importante capire come gli Llm interpretano il significato di quello che scriviamo perché non ci vuole molto a trovare esempi di IA che commette errori gravi.
Secondo Brown, una regola ferrea è quella di fare domande precise al chatbot: “La qualità e la chiarezza dei prompt sono essenziali per ottenere il meglio” o, perlomeno, “qualcosa di utile da un Llm”.
Regola numero due: indicare al software di scrivere, con un numero di parole specifico, in uno stile o struttura particolare.
“La maggior parte sarà all’altezza del compito, producendo qualcosa di leggibile e accurato e, ogni volta in cui si esegue un certo comando, affinerà e perfezionerà il lavoro, finché non soddisfa i requisiti richiesti”.
Assicurarsi che i giornalisti possano individuare imprecisioni o risposte verosimili è un altro prerequisito essenziale.
“Capire cosa può fare questo software, le sue possibilità, i limiti e i confini etici è fondamentale. Non solo per il giornalista del futuro, ma per quello di oggi”, spiega Brown.
Qualora queste regole cardine non venissero rispettate, la posta in gioco pare essere molto alta.
Lo strumento sta diventando alla portata di tutti e tutti dovrebbero imparare a conoscerlo e utilizzarlo.
“A questo serve la formazione“, secondo il professore.