La pubblicità del Guardian funziona e sfida Trump

Di il 27 Settembre, 2025
The Whole Picture è il titolo della nuova campagna di marketing del giornale britannico negli Stati Uniti. Un esempio di comunicazione che rappresenta anche un modello per il giornalismo del futuro
Foto copertina: Flickr.

È già molto chiacchierata la campagna The Whole Picture del Guardian per gli Stati Uniti, pensata dalla testata inglese per il pubblico americano.

Non è dato sapere da quanto la campagna fosse stata programmata con il supporto dell’agenzia di stampa londinese Lucky Generals, ma il tempismo – dopo i fatti di Jimmy Kimmel – è notevole.

Betsy Reed, editor del Guardian per gli Stati Uniti, ha spiegato in un video il senso della campagna: dichiarare con forza la propria visione per un giornalismo del futuro che non teme la censura.

Accanto quindi alla creazione di cartelloni pubblicitari ancora un veicolo promozionale importante in America – il Guardian ha poi investito in una partnership con l’azienda di moda Lingua Franca, creando un merchandising sulla stessa linea tematica di The Whole Picture.

 

View this post on Instagram

 

A post shared by The Guardian (@guardian)

New York gialla

Come spiega Reed, The Whole Picture è ispirata a una pubblicità del Guardian del 1986.

Nel video degli anni Ottanta, in bianco e nero, si vede di spalle un uomo correre verso un altro.

Quest’ultimo, in giacca e cravatta, è spaventato da quella che sembra, anche allo spettatore, un’aggressione.

Ma, come si scopre, spesso è tutta una questione di punti di vista. Avere coscienza del quadro per intero è un prerequisito per esprimere un giudizio o farsi un’opinione, suggerisce il corto.

La campagna pubblicitaria riprende quel filone, che è un refrain del linguaggio promozionale ed evocativo del giornale: si pensi al titolo di uno dei podcast più ascoltati della testata, cioè Full Story. 

L’idea della pienezza e dell’interezza, è il contraltare a un presente frammentario, in cui le notizie sono bocconi ingurgitati qua e là, ma il pasto non è mai completo, la tavola non è davvero imbandita.

È come se tra la prima e la seconda portata ci fosse una specie di dimenticanza: per stare nella metafora, si è satolli ma senza provare il senso di sazietà.

In questo flusso ininterrotto, in cui ci si percepisce iper-presenti, per paradosso avverso non si è da nessuna parte.

La campagna pubblicitaria è costruita su una serie di pannelli, con tonalità di giallo e font tipici del giornale, in cui, ad esempio, alcune frasi sono cancellate per far emergere solo alcune parole, espunte dal contesto.

Ma l’idea più chiacchierata è quella fatta da tre pannelli che, presi singolarmente, hanno una certa potenza iconografica, e, se considerati nel loro insieme, amplificano la propria portata comunicativa.

Il primo pannello da sinistra rappresenta delle pale eoliche nel 2015.

Il secondo, seguendo il fil rouge del vento, vede il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, con i capelli svolazzanti nel 2017.

Nel terzo pannello, si è nel 2025 e c’è una tempesta in corso.

Dunque, il quadro, come in un trittico fiammingo, è completo solo se si fa un passo indietro.

Presi tutti insieme, fanno un racconto. E come direbbe il maestro dei racconti, Julio Cortázar, si capisce che è un impianto riuscito perché è come una foglia di carciofo: se ne apprezza foglia dopo foglia, fino a raggiungere il cuore.

Il significato della campagna è stratificato e pieno di riferimenti, come innovazione, ricerca, clima, scelte politiche e, soprattutto, il messaggio chiaro di una consequenzialità, una catena causale di azione e conseguenze.

Foto: Pexels.

Per tutti

Parlare di pubblicità oggi significa usare una serie di parole chiave, un lessico comune, spesso di origine anglosassone.

Il branding, la call to action, la purpose, il posizionamento, l’awareness. Tutte cose utili a capire perché e per come l’arte complessa della pubblicità rimane in testa alla gente.

C’è chi, come l’esperto del settore Nicola Di Francesco, ha scritto che la pubblicità si rivolge a un pubblico progressista, che sarebbe il solo a poterne coglierne gli aspetti comunicativi e i messaggi sottintesi.

Ma c’è qualcosa di più potente in questa scelta del giornale, che sembra rivolgersi esattamente al popolo democratico americano, seguendo un filone di localizzazione delle inserzioni.

Ci sono due principali fattori di forza da considerare.

Il primo è la copertura globale, che garantisce una prospettiva esterna sui fatti americani più onnicomprensiva. Di nuovo, è una questione di cosa lo sguardo può contenere.

Il secondo è la coerenza nei valori. Gli aggettivi che il giornale usa per descriversi sono ricorsivi: “fiercely independet”, “fearless”, una narrazione di sé come giornale libero.

E che tutti possono leggere, perché non si paga per leggere il Guardian, che, però, ha oltre un milione di abbonati, con un modello di business che non si basa su un paywall – tranne che uno parziale nell’app.

Così come tutti possono riconoscersi in quei pannelli, facendo quel passo in più di guardare anche negli altri riquadri e mettere in fila i pezzi.

Quel valore aggiunto offerto da questa campagna è il contesto di insieme e un invito a cercare gli strumenti per decifrarlo e poi farsi un’opinione.

Perché la notizia è solo un dettaglio, ma l’informazione è conoscenza.

Il lessico del marketing non basta per descrivere la grandezza della campagna The Whole Picture del Guardian, che funziona innanzitutto per l’audacia di andare in un territorio oggi un po’ più ostile alla libertà di opinione, ribadendo la presenza e l’importanza del proprio lavoro per tutti.

Devi essere loggato per lasciare un commento.
Ludovica Taurisano
/ Published posts: 69

Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.