Sempre più editori si affidano alle app

Di il 25 Agosto, 2025
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Secondo un sondaggio interno a Pugpig, i gruppi editoriali dovranno sviluppare applicazioni per creare le proprie comunità di lettori fedeli, senza dimenticare l'intrattenimento
Foto copertina: Unsplash.

Editori e giornali si stanno affidando alle app per aumentare il traffico e la fidelizzazione dei lettori.

In particolare, aziende e quotidiani come Condè Nast o The Independent, ma anche riviste di settore come Foreign Affairs, si sono rivolte a Pugpig, che conta circa 50 dipendenti tra Londra e New York e oltre 150 clienti da tutto il mondo.

Fondata più di dieci anni fa da Jonny Kaldor e Jon Marks, Pugpig nasce in seguito al fallimento di un simile progetto pilota avviato da News Corp, in cui entrambi erano stati coinvolti.

Di recente, Pugpig ha pubblicato un report, redatto con la collaborazione di 39 testate clienti.

Sono emersi dati interessanti sul modo in cui gli utenti usano la app a seconda del tipo di pubblicazione.

I giornali hanno registrato le medie più alte per  durata media delle sessioni di lettura – nove minuti – e per tempo totale trascorso al mese di quasi tre ore.

Diverso è il modo in cui si fruisce delle pubblicazioni cosiddette “business”, riviste specifiche e di settore a cui gli utenti accedono per cercare contenuti specifici. Non navigando liberamente, trascorrono meno tempo sulla piattaforma, ma è molto più probabile che almeno una volta al mese aprano una notifica.

Le pubblicazioni “consumer” e generaliste, invece, hanno mostrato i risultati peggiori in tutte le metriche: minor numero di sessioni mensili e minore tempo medio trascorso per sessione, segno di difficoltà ad attrarre e trattenere gli utenti.

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Frequenza mensile di lettura divisa per tipo di contenuto. Fonte: Pugpig Media App Report 2025.

Un gioco per ghermirli

Purtroppo non si vive in un libro di J. R. R. Tolkien, e non basta un anello per risolvere il problema di business che affligge gli editori.

Quanto emerge dal report di Pugpig è che a due cose proprio non si può rinunciare: l’audio e il gaming. 

Infatti, gli utenti trascorrono “quasi il doppio del tempo” su un contenuto se c’è la versione audio.

Il caso della rivista Foreign Affairs è però interessante perché mostra che non è sufficiente predisporre una versione audio degli articoli per aumentare il traffico.

Infatti, si legge su PressGazette, solo dopo aver migliorato la visibilità dell’opzione audio e il suo funzionamento – per esempio potendo mettere i contenuti in coda o regolare la velocità di riproduzione – gli utenti della versione sonora sono raddoppiati.

I dati di Pugpig mostrano inoltre che le app che includono una parte di gaming e intrattenimento, tendono a generare un maggior coinvolgimento e tempi di sessione più lunghi.

“Più abbonati giocano e, in generale, gli utenti che utilizzano i giochi hanno una probabilità più che doppia di tornare sull’app”, ha dichiarato Felicity Thistlethwaite, responsabile dei contenuti digitali di The Stylist Group, uno dei clienti di Pugpig.

Si può dire che il New York Times aveva previsto tutto questo, comprando il quiz Wordle, ma questo è solo uno dei tanti elementi necessari a comporre un quadro di interazioni costanti.

Pugpig sta lavorando a pacchetti di contenuti composti da video verticali, schede-storia, audio e altri formati, erogati come feed personalizzato e arricchiti da tutte le funzionalità tipiche dei social.

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Foto: Pexels.

Una scelta inevitabile

Kaldor, oggi amministratore delegato di Pulpig, ha raccontato a PressGazette che non basta puntare sui ricavi generati dalla pubblicità nella versione digitale.

Oggi gli editori valutano le app per aumentare il traffico, pensando di creare nicchie di lettori più piccoli ma più fedeli, quindi disposti ad abbonarsi.

È un processo di aggiustamento lungo per tutta l’editoria, accelerato dai recenti sviluppi tecnologici oltre che dal cambio di abitudini dei lettori.

Infatti, dal sondaggio emerge che non è bastato rafforzare la presenza online.

Non solo i rimandi dai social media sono risicati, ma a spaventare gli editori è soprattutto il nuovo modo di effettuare le ricerche.

C’è ad esempio il Google zero, cioè la sintesi offerta dal motore di ricerca, che spesso scoraggia la navigazione su altri siti.

A questo si aggiunge l’erosione paventata dall’uso di ChatGpt come motore di ricerca, i cui effetti però non sono ancora certi.

Così come non sono certe le perdite per gli utenti, in termini di scoperta casuale – la cosiddetta serendipità – di risultati imprevisti, dettati dalla libera navigazione.

Sembra perdersi piano il carattere fondativo del web, quello dell’esplorazione casuale per l’approfondimento, e per il gusto di perdersi nella deriva dei contenuti restando attivi e attenti.

 

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.