
Foto di copertina: una vista della 25th, 26th, 27th street a Manhattan, New York. Lo Iab Technology Laboratory ha sede a 116 East 27th Street. Foto: New York City Department of Transportation, Flickr.
Nuova puntata nella relazione complicata tra editori e intelligenza artificiale.
Di recente, 80 dirigenti tra media e aziende di IA si sono riuniti a New York nella sede del consorzio no-profit Iab Technology Laboratory.
Oggetto principale dell’incontro è stato proprio l’addestramento dei modelli di IA che avviene facendo uso dei contenuti resi disponibili dagli editori.
A sedersi al tavolo con gli editori c’erano Google e Meta, mentre si è fatta sentire l’assenza di OpenAI, Anthropic e Perplexity.

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Bastone e carota
La questione è tutt’altro che semplice da risolvere e i tentativi di accordo sono stati numerosi.
Il New York Times è stato il primo grande giornale ad avviare un’azione legale in difesa dei propri contenuti, intentando una causa contro OpenAI e Microsoft per violazione del copyright.
Alla testata si sono uniti altri otto quotidiani americani controllati dal fondo Alden Global Capital.
È stato poi il turno di Perplexity, a cui il New York Times ha inviato una lettera di diffida, seguendo altri editori come Condé Nast.
Ma i confini sono molto sfumati e i comportamenti vengono di volta in volta calibrati dagli editori nel rapporto con le big tech.
Per esempio, la News Media Alliance – Nam – che riunisce diversi editori fra cui proprio Condé Nast, ma anche Hearst e e Vox Media, ha mostrato la propria diffidenza verso le piattaforme di IA generativa, avviando una causa legale contro Cohere.
Ma la stessa Condé Nast ha tentato la via dell’accordo con OpenAI, entrando in una rete di collaborazioni strategiche che l’azienda di Sam Altman ha stretto con importanti editori nel corso dell’ultimo anno.
Tra i nomi di editori e testate più rilevanti che hanno già siglato intese simili figurano Associated Press, Axel Springer, Time, The Atlantic, News Corporation, Vox Media e Financial Times.
Tutte queste partnership segnano un cambiamento significativo nei programmi di OpenAI, che mira a costruire una solida libreria di informazioni affidabili, offrendosi come un rivale di peso per i motori di ricerca tradizionali come Google.

La sede centrale di Hearst a San Francisco, in California, disegnata dall’architetto britannico Norman Foster. Foto: Flickr.
Strategia in evoluzione
Ma nella relazione tra editori e intelligenza artificiale, i primi stanno ancora bilanciando quanto a loro convenga procedere in un modo o nell’altro.
Perché, mentre cercano di difendere il copyright, provano anche a misurare il grado di erosione del traffico generato dall’uso di ChatGpt come motore di ricerca.
E tutto questo deve far fronte anche con il crescente utilizzo degli strumenti di IA dentro le redazioni degli stessi giornali che hanno avviato quelle cause, fino a pensare addirittura che l’IA sia la nuova frontiera dell’editoria.
C’è inoltre un’ulteriore punto da non sottovalutare, ossia quello della concorrenza fra big tech, che può essere sfruttata dai media per scegliersi gli accordi più vantaggiosi, senza dover sottostare a richieste troppo stringenti.
Si può pensare al caso di Amazon, che di recente ha accelerato sul fronte delle collaborazioni con i gruppi editoriali per consentire ai suoi strumenti di IA – da Alexa a Rufus – di usufruire dei contenuti del New York Times stesso, oltre alle testate pubblicate proprio da Condé Nast e Hearst.

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Da una parte all’altra
Apparentemente, le piattaforme stanno facendo degli sforzi per creare strumenti appetibili anche per gli editori, come nel caso dell’AI Mode di Google.
Ma i giornali restano scettici, almeno finché i risultati di queste partnership non saranno valutate nel corso dei prossimi mesi.
Questa valutazione sarà probabilmente anche tra i compiti di Adam Greenberg, di recente scelto dal New York Times per gestire le partnership strategiche con le big tech e le piattaforme di IA.
Prima, Greenberg era a capo della sezione Search & AI partnership ma dall’altro lato della barricata, cioè per Google.
Lo dimostrano eventi come quello dell’Iab Tech Lab, la prova definitiva che le controparti hanno bisogno di parlarsi, perché gli editori sono scontenti.
I motivi del disappunto non sono solo tecnologici, riporta Digiday.
È infatti in corso la sperimentazione del Llm Content Ingest Api, un framework tecnologico pensato per restituire agli editori il controllo su chi può accedere ai loro contenuti e a quali condizioni — inclusi consenso e compensi.
Gli editori si lamentano di un tema più politico, cioè di non riuscire ad avviare una vera trattativa con queste aziende.
E, in modo anche più grave, ritengono che le aziende aggirino le restrizioni e “saccheggino i contenuti”, come dichiarato da Paul Bannister, chief strategy officer di Raptive, che gestisce la pubblicità per siti indipendenti.

La sede di Microsoft a Monaco di Baviera, in Germania. Foto: Wikimedia Commons.
Controllo, consenso, credito, compenso
Secondo Digiday, l’incontro a New York lascia qualche speranza.
Innanzitutto, gli editori stanno apprezzando l’arte della coalizione per aumentare il proprio potere negoziale, accettando di inserirsi in un sistema di regole e monitoraggio condivisi.
La condizione sulla quale non transigono è che la fonte venga sempre riconosciuta.
Più a largo spettro, vogliono vedere rispettate le quattro C: controllo, consenso, credito, compenso.
Per far questo, l’ipotesi più accreditata ora è quella di un sistema ibrido: da un lato un pay-per-crawl, in cui l’azienda IA paga ogni volta che un bot accede ai contenuti. Dall’altro, compensi calcolati in base all’uso effettivo dei contenuti nei prodotti IA.
Ma non bisogna dimenticare, oltre all’assenza dei giganti dell’IA in questione, anche il fatto che, nello stesso momento, altri discorsi stanno avvenendo in altre sedi, come i tribunali.
E forse anche dagli esiti delle cause dipenderà la temperatura della contesa e la sua possibilità di trovare un compromesso.
Microsoft e Anthropic stanno già vincendo le prime cause sul copyright.
Una battaglia quella tra editori e società di intelligenza artificiale che sta facendo sentire il proprio peso anche in altri campi, tra letteratura, musica e cinema.