
Il Digital News Report 2025 del Reuters Institute anche quest’anno si è confermato uno degli appuntamenti più attesi dell’anno.
Le testate e i professionisti del settore lo hanno divorato, trovando qualche conferma ma, soprattutto, tante questioni aperte.
Se il giornalismo tradizionale (“institutional”) è in crisi, è anche vero che da circa tre anni la fiducia generale nel panorama informativo è stabile (40%) da tre anni a questa parte.
Il report è strutturato su 48 mercati e sei continenti, marcando come i social media abbiano reso davvero globali alcune tendenze.
Si sta generando, però, una differenza sostanziale tra i due lati dell’Atlantico.
Infatti, negli Stati Uniti il grado di polarizzazione sta crescendo, perché la popolazione è divisa su molti temi. Tra questi, su cosa si debba intendere come “free speech”, un tema su cui invece gli europei si mostrano più severi.
Celeste Satta, sociologa della comunicazione, collabora con il Master in Giornalismo di Torino che ha implementato una partnership con il Reuters Institute.
Ci aiuta a commentare i dati e a interpretare i segnali contrastanti di ecosistemi informativi molto complessi.

Content creator più visti dagli intervistati negli Stati Uniti. Fonte: Digital News Report 2025
Il video non ha ucciso le news
L’informazione sui social ha subito un incremento (l’effetto-Trump), che si è poi stabilizzato.
In generale, un terzo del campione di intervistati ha annunciato di informarsi su Facebook, seguito poi da YouTube, Instagram, Whatsapp.
Meno di un quinto usa X, su cui però sono transitati molti uomini dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk.
“Mi aspettavo l’ascesa di TikTok, poi confermata. Rispetto a X, invece, ci aspettavamo un abbassamento dell’engagement della piattaforma, ma la situazione è rimasta tutto sommato invariata anche dopo il passaggio di proprietà a Musk. Come scrivo nel report, X non ha registrato grandi crolli a livello internazionale, ma di sicuro il suo fulcro di utilizzo è cambiato e di certo non è più l’informazione, quanto magari l’attesa di exploit da parte del suo iconico proprietario. È quindi residuale come fonte di informazione, e lo sono anche, per ora, i concorrenti come Threads e Bluesky. L’esodo auspicato da alcuni liberali e giornalisti si è trasformato in un piccolo gruppo di lurkers, persone che non producono contenuti ma restano a monitorare la situazione”.
I video si confermano in rapida crescita, erodendo tanto il mercato della televisione quanto quello delle radio.
“Attenzione però, il fenomeno c’è ma resta complessivamente di nicchia, ed è rivolto a un pubblico che cerca di ottimizzare i tempi ed evitare di restare all’oscuro di alcuni eventi importanti. Io non esagererei questo impatto, soprattutto in Italia dove l’ambiente demografico è fatto di pochi giovani e molti adulti e anziani”.
In effetti, i canali nazionali (tra tutti la Bbc, ma anche quelli nel nostro paese) si mantengono come punto di riferimento principale, soprattutto per attestare la veridicità delle notizie.
Non esiste, però, nessuna formula in grado di replicare a tavolino fenomeni come Joe Rogan.
E poi, se il famoso giornalista francese Hugo Decrypte ha un numero di follower che fa invidia ai network nazionali storici, è anche vero che solo un quinto dei giovani francesi dichiara di aver guardato un suo video nell’ultima settimana.

Le minacce alla credibilità dell’informazione secondo gli intervistati. Fonte: Digital News Report 2025
Agli editori serve coraggio e persistenza
Per gli editori, bene ma non benissimo.
Dal Digital News Report 2025 si possono trarre degli incoraggiamenti a investire in proprie app (ma attenzione al numero di notifiche, che non sia troppo!) e in propri canali video o podcast.
Esistono infatti esempi di produzione indipendenti, come The Rest is Politics, che hanno avuto un successo inatteso con budget relativamente contenuti.
Non si può costruire però un modello di business interamente sulla base di pubblicità e sponsorizzate: l’obiettivo di lungo termine deve essere la traduzione dei tassi di lealtà e fiducia in sottoscrizioni digitali.
Infatti, gli abbonamenti sono ancora generalmente stagnanti, con un picco nel Nord Europa di persone disposte a pagare per informarsi.
Mentre l’erosione del traffico da parte dell’IA tiene svegli gli editori, i chatbot (soprattutto ChatGPT) sono usati da un 7% come fonte di informazione.
Al contrario, l’IA può essere un buono strumento per personalizzare i contenuti o crearne di fantasiosi, ma anche su questo punto, i timori degli intervistati non sono da ignorare.
Anzi, il report individua un pericolo all’orizzonte, e cioè che per i tagli dei costi i giornali investano sempre più in automazione, titoli sensazionalistici, sponsorship che ne minano l’imparzialità.
Il reale punto critico è che il 32% degli intervistati attribuisce una responsabilità della qualità dell’informazione ai giornalisti, percezione che aumenta in paesi con democrazie fragili o regimi di transizione e autoritari.
Senza la pretesa di creare incontestabili ministri di verità, o peggio di volersi trasformare in giornalisti-influecer, la difficoltà di creare un legame di fiducia è forse il vero punto su cui i professionisti devono lavorare per i prossimi anni.
“La crisi di fiducia nella professione è inequivocabile. È importante che i giornalisti imparino a comunicare e comunicarsi come figura professionale: cosa fa? Cosa lo rende giornalista? Perché fidarsi? Le piattaforme che ti permettono di disintermediare e mostrare il metodo di lavoro dovrebbero aiutare in questo senso. Paradossalmente, l’IA è un’opportunità per esercitare la pratica di verifica e comunicazione trasparente”.
E possono farlo soltanto se avranno anche testate coraggiose e responsabili alle spalle, in grado di investire su inchieste e lavoro di costruzione e indagine sul campo.
L’era dei politici-influencer
Il Presidente Trump è protagonista indiscusso, e il fenomeno dei politici-influencer è stato sicuramente acuito dai social media.
“Il populismo è uno stile comunicativo, non è certo Trump ad aumentarlo. Lui, come gli altri comunicatori populisti, si nutre della sensazione di distacco e la percezione di abbandono da parte della politica”.
Ma sono due le questioni cruciali, che rischiano di passare inosservate nella lettura rapida del report.
Innanzitutto, che c’è una differenza nel rapporto con l’informazione a seconda che ci si autocollochi a destra o a sinistra dello spettro politico.
Solitamente, i conservatori tendono a effettuare in misura minore il fact-checking e a non diversificare le proprie fonti.
“Non so perché continuiamo ad aspettarci così tanto dal fact-checking. Di solito, chi ha l’istinto di mettere in dubbio, di porre in discussione, sono persone già vaccinate contro le fake news”.
Ancora più cruciale è il tramonto delle testate locali, perché se la politica è gestione della cosa pubblica, e non solo propaganda, questa parte proprio dalla prossimità dei luoghi.
Invece, le testate locali stanno scomparendo, e sui social si cercano soltanto informazioni per eventi o cronaca nera.

I motivi per cui si evitano le notizie in Italia. Fonte: Digital News Report Italia 2025
Il paradosso italiano e altre incongruenze
Il panorama rivela tutta la complessità del panorama, in cui non è possibile offrire soluzioni semplici o univoche.
Se gli under 35 sono spinti a cercare risposte in chi avvertono come “vicino” a sé, secondo criteri di prossimità epistemica, perché sembra irreversibile la crisi del giornalismo locale?
Oppure, mentre gli influencer sono percepiti come una minaccia alla verità, al contempo sono tra le prime risorse a cui – soprattutto i giovani – fanno riferimento per verificare la veridicità di un fatto.
C’è poi il paradosso tutto italiano.
“In Italia siamo fermi. Siamo scettici, poco inclini all’innovazione, i rispondenti non si erano posti neanche troppe domande sull’IA, se non i più giovani e informati che ne vedono le potenzialità”.
Allo stesso tempo, questa tendenza a cercare conferma orizzontalmente e non su fonti ufficiali, è particolarmente frequente proprio in quei paesi, e in quei giovani pubblici, che hanno ricevuto una formazione specifica (“media literacy”).
“C’è un filtro di selettività molto potente. Se casco nella disinformazione, è perché non ho l’istinto o l’attitudine a cercare una controprova, figuriamoci a cercarla nel fact-checking”.
Quello che davvero sta cambiando, sono le nostre vite.
La rivoluzione dello spazio informativo pubblico è molto più grande e riguarda la diffusione capillare dei tool digitali nelle nostre vite, l’occupazione delle nostre abitudini, del tempo e dell’attenzione.
C’è soprattutto una percentuale del Digital News Report 2025 che resta impressa nella memoria.
Quasi una persona su due dichiara di essere sopraffatta dal carattere negativo delle informazioni, e soprattutto di quelle politiche.
“Questo è un paradosso tutto italiano, specifico. C’è un crollo verticale dell’interesse nelle notizie, però le persone ne fruiscono e si registra meno news avoidance, cioè evitamento dell’informazione”.
Sempre bene tornare al capolavoro distopico di Aldous Huxley, in cui si legge “Come sarebbe bello se non si dovesse pensare alla felicità!”.
Il grande cambiamento sta nella nostra disposizione rispetto alla difficoltà, al dissenso, alla fatica.
“Ai giornalisti consiglio di considerare l’ambiente digitale come il fratello estroverso dell’informazione. L’ambiente comunicativo e informativo sono indissolubilmente legati, ma la notizia deve prevalere, anche se è più difficile far parlare il fratello più intimo e introverso”.
Uno sforzo che va fatto collettivamente, “to keep humans in the loop”, come scrivono da Reuters.