
La presenza mediatica di Cina e Russia nel giornalismo in Africa è sempre più capillare.
Un’inchiesta condotta dal network investigativo Forbidden Stories ha dato prova del tentativo della Russia di influenzare il giornalismo in Africa.
A sessanta studenti lo scorso anno è stata data la possibilità di formarsi come giornalisti con l’African Initiative, promossa da un’agenzia stampa a Bamako. A tre di loro sarebbe stato poi offerto un posto di lavoro nello staff.
Peccato che dietro l’African Initiative vi fosse l’intelligence russa e che non si trattasse un caso isolato.
L’ingerenza russa e cinese nel giornalismo in Africa rientra in una strategia ampia di contesa culturale e guerra mediatica.
Ad esempio, la Russia ha cercato di essere presente con campagne massicce anche in Messico, India, Serba e Tunisia, secondo l’Economist. Ha aperto la RT Academy, una scuola di giornalismo aperta in Africa, Sud-Est asiatico e Cina e tenuta dall’omonima rete di Stato di Mosca, in precedenza conosciuta come Russia Today.
Sputnik è un altro ente gestito dal Cremlino, che fabbrica informazione ad arte in Africa e America Latina, condividendo gli uffici con colleghi del Venezuela e dell’Iran, secondo il report Cognitive Combat della Foundation for Defence of Democracies.
Un esito prevedibile
Con il ritiro degli spazi e delle risorse al giornalismo sul campo – si pensi al taglio dei fondi a Voice of America – anche la copertura di parti del mondo come l’Africa è stata notevolmente ridotta.
Una battaglia si sta conducendo anche sul terreno delle idee, ma solo Paesi come la Cina e la Russia hanno deciso di investire risorse per combatterla.
Anche la Turchia ha approfittato della situazione, assumendo ex-personale della Bbc in Africa.
Infatti, la Bbc World Service sta affrontando problemi simili di copertura. Timothy Davie, direttore generale dell’emittente pubblica britannica, ha dichiarato: “Per la prima volta nella mia vita, il futuro delle nostre società democratiche mi sembra a rischio”.
Soprattutto, la lotta per la conquista del consenso è il punto cruciale per la Cina.
Presente in Africa con Xinhua, il China Africa press Centre e StarTimes – il secondo fornitore per grandezza di servizi digitali nel continente africano – la Cina è molto forte su un social in particolare.
Mentre avanza infatti la querelle su TikTok, la Cina usa soprattutto l’americano Facebook per occupare il dibattito. Cgnt, network televisivo cinese, ha di gran lunga più follower della Bbc stessa.

Il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, e il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, in un meeting a Pechino nel 2024. Foto: Wikimedia Commons.
Canali della disinformazione
Secondo uno studio pubblicato su Harvard Misinformation Review, circa mille inserzioni pubblicitarie acquistate da media di Stato cinesi sono state visualizzate 655 milioni di volte in due anni, dal 2018 al 2020.
I temi che offrivano una copertura positiva dell’operato cinese riguardavano soprattutto le proteste a Hong Kong, il Covid-19 e l’andamento dell’economia cinese.
Ma mentre queste campagne riportano chiaramente la matrice statale di riferimento, è più sottile la penetrazione nei media locali degli altri Paesi, proprio come sta accadendo per Cina e Russia nel giornalismo in Africa.
Nelle parole del giornalista romeno Victor Ilie, spiega l’Economist, è in atto una specie di “riciclaggio delle narrazioni”.
E se i siti ufficiali di Stato destano qualche perplessità, si può sempre fare affidamento sugli influencer.