1. La voce dei dipendenti abbatte i costi di marketing
Sempre più dipendenti sono disposti a postare per conto del datore di lavoro sui propri profili social. Parallelamente, le aziende fanno sempre più leva sul potenziale di marketing dei profili Instagram, X e LinkedIn dei dipendenti e di quelli che sono noti come “employee advocacy programmes”, incoraggiandoli a condividere notizie positive sull’organizzazione.
Si tratta di programmi efficaci per i datori di lavoro, dato che le persone tendono ad ascoltare più i propri amici e familiari che le aziende. Spingere i dipendenti a fare post allegri sui prodotti sembra quindi una via rapida per una migliore pubblicità, a una frazione del costo degli spazi pubblicitari esterni. In certi casi, i dipendenti vengono anche incentivati attraverso buoni Amazon e altri tipi ricompensa e agevolazioni.
“I dipendenti sono i migliori e più autentici influencer di un’organizzazione”, ha affermato Scott Morris, direttore marketing della società di software Sprout Social. Per citare qualche esempio, quando la società di software texana Simpli.fi ha lanciato un programma di advocacy per i dipendenti nel 2023, ha beneficiato di quasi 90.000 dollari in valore stimato di earned media, mentre il gruppo di software Ivanti ne ha risparmiati 500.000 in costi di marketing annuali.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Chiedere ai dipendenti di mischiare la loro presenza online personale con il lavoro può diventare controverso e i loro post potrebbero non dare la spinta di marketing che le aziende si aspettano. Tali richieste potrebbero essere percepite anche come un’intrusione nella vita dei dipendenti.
Inoltre, secondo Jenna Jacobson – Associate Professor alla Ted Rogers School of Management – l’autenticità è molto apprezzata sui social media e i dipendenti rischiano di essere visti come poco autentici se pubblicano troppo spesso o sono eccessivamente entusiasti, genera...