Nike, Lacoste e Superdry nel mirino dell’Advertising Standards Authority

Di il 04 Dicembre, 2025
Secondo l'ente di controllo delle pubblicità del Regno Unito, i tre brand non hanno saputo dimostrare con risultati concreti gli slogan promossi nel campo della sostenibilità

Nike, Lacoste e Superdry sono finite nel mirino dell’Advertising Standards Authority, l’ente di controllo della pubblicità nel Regno Unito perchè, secondo l’ASA, avrebbero gonfiato i benefici in termini ambientali legati ai loro prodotti, diffondendo informazioni fuorvianti sulla sostenibilità.

A giugno, l’ASA ha vietato gli annunci Google di queste aziende legati al tema, sottolineando come nessuna di queste fosse in grado di dimostrare concretamente i benefici del proprio operato ai consumatori.

Foto: Pexels

Le campagne pubblicitarie incriminate

Le campagne incriminate puntavano tutte sulla leva ecologica: Nike ha promosso polo da tennis realizzate con “materiali sostenibili”, Lacoste ha presentato abiti per bambini come “sostenibili ed eleganti” mentre Superdry ha invitato i consumatori a “sbloccare un guardaroba che combina stile e sostenibilità”.

Un linguaggio ormai diffuso nel settore moda, dove la sostenibilità è diventata un elemento chiave di comunicazione, spinto dalla crescente consapevolezza del pubblico sul peso ambientale dell’industria.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, il comparto tessile e moda è responsabile tra il 2 e l’8% delle emissioni globali di gas serra. In particolar modo, l’inquinamento riguarda i processi di sbiancamento, tintura e finitura.

La decisione dell’ASA si inserisce in una più ampia repressione del greenwashing: già nel 2024, l’autorità garante della concorrenza britannica aveva richiamato Asos, Boohoo e George (marchio di Asda) per dichiarazioni ambientali non supportate da prove concrete.

Foto: Pexels

Il parere dell’autorità di controllo inglese

“Gli inserzionisti devono essere in grado di supportare le loro affermazioni ecologiche con prove concrete, in modo che le persone ricevano informazioni corrette e accurate”, ha dichiarato Justine Grimley, responsabile operativo dell’ASA.

Grimley diffonde un messaggio molto chiaro: la sostenibilità non può essere ridotta a uno slogan.

Le linee guida dell’autorità sottolineano, infatti, che termini abusati come “sostenibile” rischiano di trarre in inganno, inducendo i consumatori a credere che un prodotto non abbia alcun impatto ambientale.

E anche l’intelligenza artificiale ha avuto un ruolo proattivo nell’individuare, grazie al sistema di monitoraggio dell’ASA, le campagne nel settore moda.

Una tecnologia che, secondo Brinsley Dresden, co-responsabile del dipartimento legale di Lewis Silkin, rappresenta una “grande sfida” per gli inserzionisti, soprattutto quando si tratta di affermazioni ecologiche soggette a regole sempre più stringenti.

Justine Grimley, responsabile operativo dell’ASA. Foto: profilo LinkedIn

La controbattuta di Nike, Lacoste e Superdry

Nike, Lacoste e Superdry hanno difeso le proprie scelte comunicative, sottolineando l’uso di materiali riciclati e processi produttivi a minore impatto.

In particolare, il noto brand di scarpe ha spiegato di aver già rimosso l’annuncio incriminato, mentre Lacoste ha ammesso la difficoltà di dimostrare concetti come “eco-compatibile” e ha ritirato la campagna dopo il reclamo.

Superdry, invece, ha contestato l’interpretazione dell’ASA, pur assicurando che la pubblicità non sarebbe stata più utilizzata.

Al di là delle singole campagne, i brand hanno ribadito il proprio impegno verso la riduzione dell’impatto ambientale: Lacoste ha dichiarato al Financial Times di aver ridotto del 19% l’impatto delle materie prime per la collezione bambini dal 2022 mentre Nike ha sottolineato la collaborazione con l’ASA e l’impegno a fornire “informazioni chiare” ai consumatori.

Questo caso mette in luce un trend cruciale nella comunicazione contemporanea: la sostenibilità come leva narrativa ma, allo stesso tempo, terreno scivoloso di rischio reputazionale. E la vicenda rappresenta un esempio di come regolamentazione, tecnologia e linguaggio pubblicitario si intreccino nel ridefinire le strategie di brand più o meno noti.
Devi essere loggato per lasciare un commento.
Chiara Buratti
/ Published posts: 119

Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).