
Foto copertina: immagine circolata sui social e poi rimossa da Shein.
Testimonial: un presunto assassino. È il caso del rivenditore cinese online di fast fashion Shein, che ha coinvolto il presunto killer Luigi Mangione, accusato di omicidio volontario con finalità di terrorismo per l’assassinio di Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, il 4 dicembre 2024 a Manhattan.
Un deepfake è stato usato come modello su Shein per vendere una camicia che è andata subito a ruba, terminando i pezzi dopo pochissimo tempo.
Il caso ha riacceso l’attenzione su diversi aspetti dell’episodio e di quello che ne è seguito.
In primo luogo sulla stessa vicenda Mangione, tenendo in considerazione il fatto che l’uomo rischia anche la pena di morte dopo il processo che si terrà il 16 settembre.
C’è poi l’aspetto riguardante la potenza della comunicazione sui social e l’uso dei nuovi strumenti di intelligenza artificiale. Capaci, in casi come questo, di ingannare gli utenti.

Foto: Unsplash.
Altro caso Mangione
Shein, in questo caso, non ha saputo gestire bene la comunicazione, scatenando uno shit storm.
Mangione è diventato involontariamente protagonista di una campagna di vendita con un’immagine che sembra essere stata generata tramite deepfake o modificata con Photoshop, ma non è ancora chiaro quale tecnologia sia stata usata.
Così, in pochissimo tempo il prodotto è andato sold-out, probabilmente grazie alla notorietà online di Mangione, che è diventato oggetto di culto su internet.
Shein ha rimosso rapidamente l’articolo, dichiarando che l’immagine era stata caricata da un fornitore terzo e non autorizzata.
Ma online Mangione è diventato una figura quasi mitologica: meme, merchandise, video celebrativi e persino fan che si fotografano nei luoghi dove lui era stato ritratto.
La comunicazione di Shein
Shein ha gestito la comunicazione del caso Luigi Mangione con una strategia piuttosto difensiva e reattiva, cercando di contenere i danni reputazionali.
In particolare, dopo avere rimosso immediatamente l’immagine, ha dichiarato pubblicamente di averla cancellata.
Ha poi adoperato una strategia volta a scaricare le proprie responsabilità, additandola a un venditore terzo e affermando che era stata caricata senza autorizzazione.
Infine, ha annunciato l’apertura di un’indagine interna per verificare come sia potuto accadere il fatto e ha promesso di rafforzare i controlli sui contenuti caricati dai fornitori.
Il portavoce ha sottolineato che Shein applica “standard rigorosi” per tutti i prodotti sulla piattaforma, cercando di rassicurare il pubblico sulla serietà dell’azienda, come si legge su RaiNews.
Reazioni e percezione pubblica
Sui social, però, come era immaginabile, si sono scatenate le polemiche: molti utenti hanno definito l’episodio “diabolicamente assurdo” e hanno criticato l’uso dell’intelligenza artificiale per generare immagini controverse.
Shein ha provato a minimizzare l’accaduto attraverso una comunicazione basata su tre leve: rimozione rapida, attribuzione a terzi e promessa di controlli.
Ma non ha affrontato direttamente il tema più delicato: l’uso dell’intelligenza artificiale per generare volti realistici, né ha proposto misure concrete per evitare futuri abusi.
E in un’epoca in cui l’etica digitale è sotto i riflettori, questo silenzio pesa.