Il successo dei finfluencer cresce grazie a YouTube, TikTok e Instagram

Di il 13 Novembre, 2025
Con l'aumento dei creator nel campo finanziario, l'Osservatorio del Politecnico di Milano avverte di fare attenzione alle informazioni non veritiere, che, in alcuni casi, possono arrivare alle frodi
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Un tempo l’economia si studiava sui libri e si restava aggiornati sulle pagine dei principali quotidiani finanziari. Oggi, a questi si sono aggiunti gli influencer, anzi i finfluencer: coloro che trattano, appunto, esclusivamente argomenti legati al fintech e alla finanza.

Basta scrollare su TikTok o seguire i preferiti su YouTube per trovare qualche esperto o sedicente tale che parla di investimenti, risparmio e mercati con un linguaggio diretto, spesso consigliando anche come allocare i propri risparmi, a che cosa prestare attenzione in busta paga, ma anche, più in generale, come allocare le proprie risorse.

Questa nuova categoria di creator ha trasformato la finanza in contenuto da intrattenimento, capace di generare milioni di visualizzazioni e influenzare scelte reali di risparmiatori e investitori.

È su questo tema che si è concentrata una recente ricerca dell’Osservatorio fintech & insurtech del Politecnico di Milano.

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YouTube sempre in testa

Secondo i dati dell’Osservatorio, il fenomeno è ormai consolidato. La ricerca analizza 48 profili analizzati su dieci piattaforme, tra le quali YouTube è al primo posto, con 6 milioni di follower complessivi, seguita da TikTok e Instagram.

I primi quindici creator hanno prodotto quasi 34mila video, totalizzando oltre due miliardi di visualizzazioni. Numeri che li avvicinano più a broadcaster digitali che a semplici appassionati.

Il successo dei finfluencer non dipende solo dai dati, ma dal modo in cui raccontano la finanza. Alcuni si presentano come divulgatori esperti, altri preferiscono pillole veloci e immediate, altri ancora puntano sul tono confidenziale o sull’intrattenimento.

Riprendendo le categorie individuate dall’Osservatorio, si contraddistinguono quattro tipi di finfluencer.

Ci sono, in primo luogo, i divulgatori esperti, che presentano cioè competenze criticate e adottano un linguaggio tecnico.

Seguono gli educatori, che puntano sul formato dei video informativi brevi e quelli che l’Osservatorio definisce narratori informati, ossia coloro che utilizzano un tono più confidenziale per fare divulgazione attingendo da esperienze personali.

Infine, esistono gli intrattenitori, considerati più vicini al mondo del lifestyle che all’ambito finanziario. Quest’ultima categoria costruisce la propria credibilità sul carisma e non sulla formazione tecnica.

Proprio la credibilità, secondo la maggior parte degli intervistati, si costruisce invece con autenticità e trasparenza.

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Target specifico

Nella maggior parte dei casi, gli utenti che seguono questo tema conoscono la materia e diffidano di coloro che non possiedono i titoli per raccontare la finanza.

Trattandosi non di un pubblico generalista ma spesso già istruito sull’argomento e a caccia di novità e semplificazione di temi complessi, si tratta di un target non tanto facile da catturare a primo impatto ma che richiede, invece, tempo, costanza e affidabilità.

Finfluencer, dunque, non ci si improvvisa.

Nei numeri, però, non è sempre così. I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano mostrano infatti che il 38% dei finfluencer presi in esame in tasca ha almeno un master, la stessa percentuale una laurea magistrale e il 12% almeno una laurea triennale.

Considerando il contesto più in generale, invece, si conferma l’importanza crescente dei new media tra i giovani.

Secondo il Reuters Institute, infatti, “i news creator stanno diventando una fonte primaria di informazione per le nuove generazioni, spesso più influenti dei media tradizionali”. La fiducia va, quindi, verso figure percepite come vicine, anche se non sempre la loro competenza è certificata.

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Rischi per gli utenti

La direttrice dell’Osservatorio del Politecnico, Laura Grassi, lancia però un avvertimento: “può accadere che diffondano informazioni non veritiere, arrivando in alcuni casi a incanalare verso frodi”, ha dichiarato a Repubblica.

Oltre l’entusiasmo, quindi, esistono – e aumentano – i rischi.

Secondo l’Osservatorio, infatti, solo il 30% dei finfluencer italiani è iscritto all’albo dei consulenti finanziari. Molti non hanno titoli o abilitazioni e il problema si amplifica quando entrano in gioco le sponsorizzazioni: nel 40% dei casi i guadagni derivano da partnership o affiliazioni, spesso non dichiarate con chiarezza.

Un dettaglio che rischia di confondere chi li segue, nonostante il pubblico ricerchi trasparenza.

In Italia, intanto, manca ancora una legge sul tema.

L’Agcom – l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – equipara i creator ai fornitori di servizi audiovisivi, imponendo obblighi di trasparenza.

A livello europeo, la Market Abuse Regulation considera “raccomandazione di investimento” qualsiasi messaggio che suggerisca strategie finanziarie, anche sui social. Di conseguenza, l’Esma, ossia l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ha già messo in guardia sul fatto che diffondere informazioni non verificate può configurare reati di insider trading o manipolazione di mercato.

Per gli istituti tradizionali, collaborare con i finfluencer può rappresentare al tempo stesso un’opportunità di comunicazione e un rischio per la propria reputazione, mentre l’Organizzazione internazionale delle commissioni sui valori mobiliari invita a selezionare con cura i partner, formare sui rischi e garantire massima trasparenza.

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Fenomeno globale

L’allerta non riguarda solo l’Italia. In India, ad esempio, l’82% degli investitori retail segue i finfluencer, ma solo il 2% è iscritto all’albo professionale. Il risultato è stato una crescita considerevole delle truffe.

Negli Stati Uniti, il caso GameStop del 2021 ha mostrato come un gruppo di trader su Reddit possa ribaltare i mercati e mettere in crisi i grandi fondi.

Nel nuovo mondo dei social, dove l’innovazione corre più veloce delle regole, i finfluencer hanno aperto un canale diretto con milioni di risparmiatori, ma senza confini normativi chiari l’informazione rischia di trasformarsi in illusione.

In un ecosistema dove un contenuto virale può spostare capitali, la trasparenza non è solo un valore etico ma un bisogno economico che necessita di regole precise.

E se del futuro non si ha certezza, la necessità di una regolamentazione a livello nazionale e internazionale in questo settore si fa sempre più concreta.

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Chiara Buratti
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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).