Il filo sempre più sottile che lega Donald Trump e Rupert Murdoch

Di il 01 Agosto, 2025
Il loro rapporto resta altalenante. Ma ora, con le inchieste del Wall Street Journal sul caso Epstein da un lato e il successo di Fox News dall'altro, una rottura avrebbe serie conseguenze per entrambi
L’immagine di copertina ritrae Rupert Murdoch al World Economic forum nel 2009. Fonte: Flickr.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il guru dei media Rupert Murdoch, proprietario della Fox e del Wall Street Journal, se le stanno dando di santa ragione.

Il pomo della discordia è lo stesso che sta rompendo l’universo Maga – il movimento Make America Great Again –, cioè il caso Jeffrey Epstein.

Su Fox News, la conduttrice Laura Ingraham stava per condividere in anteprima la notizia dell’inchiesta, voluta dalla direttrice del Wall Street Journal Emma Tucker, che mostrava una lettera raffigurante una donna nuda, dattiloscritta da Trump per il cinquantesimo compleanno di Epstein.

Al ritorno dal successivo spot pubblicitario, però, Ingraham ha cambiato argomento, spostando l’attenzione sul cosiddetto Coldplay Gate, come ricorda il Financial Times.

Nel frattempo, la Casa Bianca aveva già fatto liquidare la notizia come falsa, per poi muovere guerra contro la testata.

Prima, Trump ha fatto dichiarazioni forti contro Murdoch, definendo il Wall Street Journal un giornale spazzatura. Poi, ha annunciato una causa da dieci miliardi di dollari contro il magnate dei media e le società madri del quotidiano, News Corp e Dow Jones, e altri due giornalisti.

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La sede del Wall Street Journal a New York. Foto: Flickr.

Interessi in gioco

L’analista dei media Rich Greenfield ha dichiarato al Financial Times che il secondo mandato di Trump ha reso Fox News il canale televisivo più visto d’America nelle ore serali dei mesi estivi.

Si parla di una media di tre milioni di spettatori, che ha superato le reti gratuite come Abc, Nbc e Cbs, e quasi raddoppiato il pubblico combinato di Msnbc e Cnn.

Non solo. La rielezione di Trump ha portato buoni affari anche al Wall Street Journal.

Nel trimestre concluso a marzo, il giornale ha superato i 4,3 milioni di abbonamenti, con un aumento del 3% rispetto all’anno precedente, e le sottoscrizioni digitali sono salite del 5%.

Ma questo beneficio deve ora fare i conti con il fatto che il presidente è ai ferri corti con il conoscente di vecchia data e gigante dei media.

Infatti, con la vendita di 21st Century Fox a Disney nel 2017, Fox News è diventata una parte cruciale delle sue attività.

Oggi, la rete genera circa i tre quarti dei profitti totali di Fox Corp, che ha una capitalizzazione di mercato di 24 miliardi di dollari.

L’altra metà dell’impero di Murdoch è proprio News Corp, che possiede il Wall Street Journal e del gruppo editoriale HarperCollins e ha una capitalizzazione di mercato di 17 miliardi.

In tribunale

La causa intentata da Trump contro Murdoch arriva due anni dopo che Fox ha pagato quasi 800 milioni di dollari a Dominion Voting Systems per chiudere una causa relativa alle false affermazioni della rete secondo cui l’azienda avrebbe truccato la vittoria elettorale di Joe Biden.

Se Fox ha dovuto pagare per le sue affermazioni false in merito alla tornata elettorale statunitense del 2020, altre emittenti hanno scelto di farlo per chiudere delle cause iniziate da Trump contro di loro.

Le emittenti AbcCbs e hanno pagato rispettivamente 15 e 16 milioni di dollari per chiudere le controversie legali con il presidente, che ha vantato questi episodi come successi personali.

(Quasi) amici

Lo scenario sembra ripetersi, dopo la rottura con Elon Musk.

La differenza è che il rapporto tra Trump e Murdoch è di lunga data, spesso conflittuale ma fatto anche di importanti alleanze.

Negli anni ’70 e ’80, Trump utilizzava proprio il New York Post, sempre di proprietà di Murdoch, per promuovere gossip favorevoli alla sua immagine di immobiliarista emergente sulla rubrica di gossip Page Six della rivista.

E Fox News ha contribuito a creare l’universo informativo di riferimento dei Maga.

La strategia di Murdoch, però, è più sottile.

Un ex collaboratore ha raccontato al Financial Times che Murdoch usa le sue testate per comunicare messaggi spesso diversi fra di loro: da Fox News al New York Post, seleziona con cura cosa pubblicare e su cosa esporsi o tacere, a seconda del bacino di utenza di riferimento.

Negli anni, il suo sostegno all’ex star dei reality è stato altalenante.

Fonti vicine hanno confidato al Financial Times che Murdoch non ha mai apprezzato personalmente Trump, considerandolo “un cafone”.

È stato cauto nel sostenerlo alle presidenziali del 2016 e ha poi cercato di spingere il partito verso altri candidati per il 2024.

La notizia della candidatura è stata inserita a pagina 26 del New York Post.

Tuttavia, una volta vinte le primarie repubblicane, Trump ha ricevuto il forte e influente appoggio da parte di Fox News.

Murdoch non è il solo, nell’universo conservatore, ad assumere un atteggiamento ambiguo.

Ex conduttori di Fox News come Tucker Carlson e Megyn Kelly, insieme a influencer come Laura Loomer, sono stati tra le voci più forti nel chiedere a Trump di rilasciare ulteriori informazioni o di licenziare il procuratore generale Pam Bondi per come ha gestito i documenti relativi a Epstein.

Tuttavia, Kelly e Loomer hanno poi respinto l’articolo del Wall Street Journal e Kelly lo ha definito “il tentativo di attacco più stupido” che avesse mai letto.

Foto: Flickr.

Il dito e non la luna

Mentre i commentatori giocano a scommettere chi tra Trump e Murdoch cederà, la giornalista Tina Brown, dalle pagine della sua newsletter su Substack invita a riflettere sulle sorti della pubblica informazione.

Per Brown, Murdoch è un “coccodrillo”, che a lungo ha compiaciuto Trump per i propri interessi. Ma “resta un uomo da tabloid nel profondo” e di certo, scrive, non pagherà per evitare la causa.

Anzi, sa che lo scandalo sessuale è quello quello che i suoi spettatori cercano.

“Il brivido populista, vecchio stile, di mettere in imbarazzo i potenti – e sfruttarne la paura – è lo sport di sangue che da 60 anni alimenta l’impero redditizio dei suoi giornali”.

Inoltre, se Fox News è co-dipendente da Trump per i motivi già esposti, Murdoch non può permettersi di intaccare in modo palese la credibilità del Wall Street Journal, il cui rigore è quanto meno tutelato dalla proprietà di Dow Jones.

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Foto: Unsplash.

Trump contro tutti

Ma chi altro, oggi, è disposto a inimicarsi il presidente degli Stati Uniti per dedizione alla causa del dibattito pubblico?

Certo, continua Brown, è difficile aspettarselo dal Washington Post o dal Los Angeles Times, che, su pressione dei loro proprietari miliardari – Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong — hanno cancellato gli endorsement presidenziali per Kamala Harris.

Improbabile che lo facciano anche il servizio pubblico Pbs America o NprNational Public Radio –, che, senza fondi pubblici, non potranno permettersi l’esercito di avvocati richiesto dal giornalismo investigativo.

Nemmeno lo si può chiedere a Paramount, proprietaria della Cbs, o alla stessa Disney, proprietaria di Abc – appunto quelle che hanno già versato milioni per chiudere le cause con Trump.

In più, il futuro proprietario di Cbs, Skydance Media, guidata dal 42enne David Ellison, figlio del secondo uomo più ricco del mondo, il fondatore di Oracle, Larry Ellison, è amico di Trump.

Per Brown, un presidio fondamentale è svolto dalla famiglia Sulzberger, storici e tenaci proprietari del New York Times, liberi da concessioni governative o sovvenzioni.

E c’è poi Laurene Powell Jobs, proprietaria di The Atlantic, un altro mezzo non dipendente dai favori della Casa Bianca, o David Thomson, presidente di Thomson Reuters.

“Ma i lupi solitari del giornalismo, per quanto coraggiosi, non possono sostenere da soli guerre legali o realizzare complesse inchieste su corruzione aziendale o governativa senza un appoggio istituzionale”, scrive la reporter, lasciando ai lettori una domanda cruciale.

A cosa serve avere soldi infiniti se poi non vengono utilizzati per difendere la propria indipendenza?

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.