I democratici cercano donazioni sui nuovi media

Di il 03 Dicembre, 2025
La campagna mediatica dei Dem si fa più agguerrita, per battere i repubblicani sul loro stesso terreno. Il divario è ancora ampio, ma nuove star stanno emergendo tra i candidati
Foto copertina: il governatore Gavin Newscom nel 2019 in California. Fonte: Wikimedia Commons.

La campagna mediatica dei democratici si conferma agguerrita.

Sembra prematuro, ma i blu hanno da riconquistare molto terreno tra gli Stati federali, in vista delle elezioni del presidente del 2028.

La schiacciante vittoria di Donald Trump ha lanciato segnali molto chiari, non solo politici, ma soprattutto comunicativi.

Così, da qualche mese a questa parte, i democratici hanno cominciato a voler battere i repubblicani sul loro stesso terreno.

Quello di ferocissime campagne di opinione sui nuovi media.

Si impara dai migliori

Mentre il presidente Trump invitava gli influencer nella Sala Stampa della Casa Bianca, i democratici prendevano appunti.

Hanno infatti prima compreso che dovevano cercare un Joe Rogan, lo youtuber la cui intervista a Trump è andata virale a ridosso delle elezioni, e  che per questo si è guadagnato un posto in sala stampa.

Così, nel definire la campagna mediatica dei democratici, gli esperti di comunicazione hanno cominciato a guardare a canali YouTube di orientamento democratico, come Meidas Touch.

Sempre su YouTube, il gabinetto di guerra dei Dem ha lanciato un briefing quotidiano, semplice e accessibile nel linguaggio, in cui dare spazio soprattutto a quella classe sociale che hanno perso, cioè i lavoratori blue-collar.

Intanto, il dibattito americano, sempre più polarizzato, si stava spostando sulla piattaforma – in grande crescita – di Substack.

È qui che Kamala Harris ha presentato il suo libro, è qui che le persone stanno cercando di avviare una conversazione meno divisiva, e dunque è qui che i democratici devono stare.

Sui social, ma anche nelle strade.

Tra i nuovi volti-star dei democratici, casi scuola di un eccellente uso dei nuovi media sono quelli del deputato presbiteriano James Talarico, del governatore della California Gavin Newscom e del neo-eletto sindaco di New York Zohran Mamdani.

Katie Feeney, influencer nello staff della Casa Bianca sotto la presidenza Trump. Fonte: Wikimedia Commons.

Ottenere finanziamenti con la simpatia

Questi sforzi non sono passati inosservati, ma il divario resta ancora grande.

I repubblicano hanno cominciato ad armarsi di testate e influencer dopo la vittoria di Barack Obama.

Hanno più di un decennio testate come Daily Collar, Daily Wire o proprio il Turning Point USA di Charlie Kirk.

Il divario infrastrutturale si vede nei numeri: circa il 27% degli influencer di notizie si identifica come repubblicano, conservatore o pro-Trump, rispetto a circa il 20% che si identifica come liberal, secondo uno studio Pew del 2024.

Ma i Democratici stanno facendo un passo in più, nel tentativo di frammentare la loro esposizione mediatica.

Non solo parlano attraverso i content creator o i podcast, ma stanno anche in ascolto dei loro feedback.

Alcuni di questi, come il giornalista Ezra Klein, ma anche Chuck Todd, rappresentano l’esaurimento di un certo panorama mediatico tradizionale.

Le loro penne infatti si sono spostate, e ora riversano in una condizione ambigua tra quella dell’opinionista, del consulente e del content creator.

Andrew Mano, consulente di Talarico, lo sa bene, e sta seguendo tutti gli anchor che si spostano su Substack.

Il patto è sempre lo stesso: interviste politiche sì, ma cordiali.

“La nuova classe di intervistatori non è così diversa dai media tradizionali”, ha detto Talarico al Washington Post. Tutti hanno pregiudizi, “anche se fingi di essere un reporter obiettivo”.

La speranza è che il mix tra affabilità dell’intervistato e credibilità dell’intervistatore possa facilitare donazioni e finanziamenti.

La strategia mediatica dei democratici si sta rivelando chiara, e la propaganda è appena cominciata.

Anzi, non è mai finita.

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Ludovica Taurisano
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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.