Il trend Brainrot, dalla creatività diffusa ai negozi

Di il 23 Agosto, 2025
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Il fenomeno virale nato tra TikTok e ChatGpt, diventato oggi un prodotto commerciale, apre interrogativi inediti su diritto d’autore e la proprietà intellettuale
Foto copertina: Unsplah.

Come già scritto per le immagini a tema Studio Ghibli che hanno monopolizzato i feed dei social medi per settimane, le nuove tendenze nate attraverso i sistemi di intelligenza artificiale generativa sono varie e spesso effimere. Ma così come tendono a esaurirsi in breve tempo, si diffondono in modo molto veloce.

A questo contesto cangiante, si aggiunge il fatto che, per questi trend, è virtualmente impossibile risalire alla fonte, o meglio al contenuto inaugurale che ne ha segnato l’inizio.

Perciò, il territorio dell’autorialità nell’ambito di questi fenomeni è scivoloso e non risolvibile, sia che si parli dei contenuti generati, sia del format stesso su cui essi si basano.

Caso Brainrot

Uno di questi fenomeni, molto persistenti nei feed social – specialmente tra TikTok e Instagram – è quello del Brainrot.

Nato in Italia e ammantato di “italianità” agli occhi degli utenti internazionali, questo fenomeno ha oggi un formato standard e riconoscibile.

È capitato a molti utenti negli ultimi mesi di imbattersi in personaggi dai nomi buffi — tra i più famosi, Bombardino Crocodilo, Trallalero Trallalà o Ballerina Cappuccina — corredati da immagini generate, in maniera palese, dall’IA.

Sono protagonisti di brevi video fiammeggianti che ne descrivono in modo fantasioso — e alcune volte blasfemo — le caratteristiche.

Nei mesi si è instaurata e consolidata una precisa metodologia per realizzare personaggi Brainrot, che prevede l’uso di ChatGpt, di una particolare voce text-to-speech e degli strumenti di CapCut, il software di editing di contenuti di TikTok.

Questi personaggi hanno raggiunto una popolarità internazionale, mantenendo una forte identità italiana, tanto da diventare persino oggetto di souvenir artigianali in alcune località turistiche del Paese.

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Foto: Unsplash.

Vendere la tendenza

Ma se la vendita sporadica di magliette e stampe per turisti fanno ancora parte di un utilizzo informale di una proprietà intellettuale che non ha un effettivo proprietario — perché frutto di una creatività condivisa sul web —, da maggio le cose sono cambiate.

Hanno iniziato a comparire in edicole e negozi specializzati le carte collezionabili targate Italian Brainrot, il tutto sotto il marchio Skifidol.

Queste carte, commercializzate da Officina Edicola –agenzia modenese di comunicazione e marketing detentrice del marchio Skifidol e dunque dello stesso Italian Brainrot –, stanno seguendo un regolare iter commerciale che risponde alle regole classiche sulla proprietà intellettuale e sul suo sfruttamento economico.

Com’è stato possibile, quindi, per l’azienda emiliana ottenere i diritti d’utilizzo di personaggi, descrizioni e immaginari che, nell’effettivo, non appartengono a nessuno, dal momento che è molto complicato — se non impossibile — risalire creazione per creazione al suo autore?

A rispondere è Andrea Marchesi, amministratore delegato di Officina Edicola che, sostiene, la sua società sian stata la prima a intuire un possibile risvolto commerciale per il fenomeno del Brainrot e dunque ad anticipare l’eventuale concorrenza, registrandolo come marchio e commercializzandolo.

“Come accade con le novità, prima provi e poi vedi cosa accade, non essendoci dottrine in materia. È un terreno nuovo e noi lo stiamo esplorando, ovviamente seguiti da uno studio legale internazionale per la tutela di marchi e brevetti su personaggi e ogni aspetto rilevante”.

Officina Edicola, con Skifidol a fare da ombrello, è stata pioniera di un fenomeno ancora da esplorare, ossia l’approdo sul mercato della creatività diffusa che si sviluppa sul web, in particolare con i chatbot IA.

“Il nostro lavoro è iniziato a gennaio, con la creazione di una serie di personaggi all’interno del trend con profili nostri non ufficiali”, ha specificato Marchesi.

“Oggi abbiamo più di 200 personaggi creati da noi. Non abbiamo bloccato nulla, ma anticipato la tendenza, lavorando in tempi non sospetti, tastando il terreno online”.

Il risultato, per ora, è vincente.

La vendita delle carte collezionabili è in crescita e Panini ha voluto stringere una collaborazione per realizzare l’album di figurine.

Di conseguenza, le altre aziende di action figure che volessero commercializzare prodotti con le fattezze dei personaggi del Brainrot devono rivolgersi a Marchesi e a Officina Edicola per la licenza.

Risvolti e prospettive

Il caso del fenomeno Brainrot – o, come lo si trova nei negozi, Skifidol Italian Brainrot – è l’occasione per riflettere sull’impatto dirompente di pratiche di creatività diffusa in un contesto non regolato da logiche commerciali dirette, in particolare gli assistenti virtuali.

E su come l’ambiguità da un punto di vista dell’attribuzione dei diritti debba convivere con meccanismi di commercio e vendita tradizionali.

La differenza sta in un cambio delle fonti e del loro approvvigionamento.

La necessità di individuare con le giuste tempistiche i trend da cavalcare è sempre stata parte fondamentale nella strategie delle aziende.

Ma, finora, è sempre stato molto chiaro l’iter da seguire per ottenere una licenza di sfruttamento per personaggi, nomi, caratteristiche identitarie e tutto ciò che sta all’interno della definizione di proprietà intellettuale.

La mossa di Officina Edicola dimostra non solo che le regolamentazioni del diritto d’autore non sono oggi attrezzate per far fronte all’utilizzo delle proprietà intellettuali per addestrare i sistemi di IA, ma che le stesse regolamentazioni fanno fatica a inquadrare i risultati di questi sistemi generativi.

A chi appartiene Bombardino Crocodilo? E di chi sono le componenti che ne hanno permesso la generazione? Musica e voce, ad esempio, così come tutto il materiale che ha addestrato ChatGpt, permettendo al chatbot di produrre quelle caratteristiche.

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Foto: Pexels.

Prove di futuro

È appurato che nome e fattezze del personaggio di Brainrot appartengono a Officina Edicola, perché, per prima, ha voluto tentare il salto nel buio di porvi sopra la propria bandiera commerciale.

Più difficile è comprendere se questo potrà continuare a essere il criterio che regola il rapporto tra creatività diffusa e regole commerciali.

Mentre si discuterà dell’estensione di campo di regimi del concetto di fair use e delle licenze Creative Commons per tutelare chi vuole creare prodotti simili attraverso i sistemi di IA, si intravedono almeno due rischi all’orizzonte.

Da una parte, la creatività diffusa – specialmente per come funziona il diritto d’autore statunitense, improntato su principi economici – tenderà via via a tornare nell’alveo dell’individualità, quantomeno commerciale.

Ne è già un esempio il curioso caso del meme Hawk tuah che, da video virale e potenzialmente imbarazzante per la sua protagonista, si è trasformato in un redditizio fenomeno commerciale, da lei controllato.

Dall’altra, il secondo pericolo è che la creatività diffusa appaia agli utenti una trappola che impedisce di difendere dal punto di vista legale la proprietà giuridica dei prodotti della fantasia individuale.

Il caso Italian Brainrot, per modalità commerciale e portato del fenomeno, appare al momento come un unicum, ma Marchesi mette in guardia sulla necessità di non adagiarsi su un trend unico.

“Sono linguaggi contemporanei che vanno interpretati e trasformati possibilmente in prodotti. L’aspetto più difficile sta nel fatto che di tormentoni online è pieno”.

A questo punto, sembra comparire una terza e conclusiva via di rischio: la possibilità che siano le stesse aziende ad appropriarsi del terreno su cui si esercita la creatività diffusa, colonizzando o influenzando le tendenze, in modo da accelerare l’individuazione di scommesse vincenti.

Di fronte a queste prospettive, le risposte dei sistemi di regolamentazione — nazionali e comunitari —, le reazioni di realtà come ChatGpt — questa volta dal lato dello “sfruttato” — e degli utenti stessi saranno cruciali nel comprendere la tenuta del modello.

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Laureato triennale al DAMS di Bologna con una tesi in Semiotica dei Media e magistrale al CITEM in Storia della Serialità, ha un Dottorato di Ricerca in Film & Media Studies. Tra i suoi interessi c’è la Semiotica Strutturale, l’evoluzione del panorama mediale contemporaneo e la possibilità di riavvicinare l’analisi strutturale — specialmente attraverso l’Etnosemiotica matura — allo studio della testualità audiovisiva. È caporedattore della rivista Birdmen Magazine e membro di CUBE - Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica.