
Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha raggiunto un accordo per evitare il processo in merito al caso Cambridge Analytica.
La comunicazione ufficiale è arrivata giovedì 17 luglio, quando la Corte della Cancelleria del Delaware ha annunciato l’accordo transattivo nella causa collettiva intentata da un gruppo di azionisti contro Meta in merito allo scandalo che aveva coinvolto la società di consulenza politica.
Le cifre e i dettagli del patteggiamento – che ha permesso a Zuckerberg di evitare una causa per la quale l’accusa chiedeva otto miliardi di dollari di risarcimento – non sono noti.

Alcuni manifestanti per il caso Cambridge Analytica, a marzo del 2018 a Parliament Square, a Londra. Foto: Wikimedia Commons.
Indietro nel tempo
La vicenda ha avuto inizio nel 2013, anno di nascita di Cambridge Analytica, fondata come filiale della società britannica di comunicazione Scl Group.
Il suo scopo era quello di occuparsi delle strategia di comunicazione politica per finalità elettorali, in particolare vuole colmare un “vuoto” lasciato dal mercato politico repubblicano negli Stati Uniti.
Per raggiungere questo obiettivo, la società si occupava di raccogliere quelli che vengono definiti big data, oltre che di estrazione e ottenimento dei dati – il cosiddetto data mining –, attraverso studi sofisticati e specifici per ogni cliente.
Tramite una meticolosa raccolta di dati e informazioni, analizzava i modelli comportamentali e psicologici degli utenti della rete per studiare i migliori piani di comunicazione.
Cambridge Analytica aveva sviluppato un sofisticato sistema di micro-targeting da offrire ai propri clienti.
Tutto questo passava anche da Facebook, da cui l’azienda britannica raccoglieva milioni di dati personali senza consenso, per poi utilizzarli in campagne mirate volte a influenzare gli elettori indecisi – i cosiddetti “influenzabili” – con annunci pubblicitari su misura.
In questo modo, Cambridge Analytica ha cercato di orientare l’esito della campagna presidenziale statunitense del 2016, poi vinta da Donald Trump, e del referendum sulla Brexit, nello stesso anno. Le tecniche e le strategie impiegate erano del tutto inedite.
Il suo primo incarico politico di spessore ha riguardato la campagna presidenziale del senatore repubblicano Ted Cruz.
Ma la vera svolta è arrivata con la campagna di quello che sarebbe poi diventato il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.
In quei mesi, la società britannica ha assunto un ruolo di spicco anche durante prima del voto sulla Brexit nel Regno Unito.
Lo scandalo è scoppiato a marzo del 2018, quando sul Guardian e sul New York Times sono usciti alcuni articoli dove Christopher Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica, ha dichiarato: “Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone. E abbiamo costruito modelli per sfruttare quello che sapevamo su di loro. L’intera società è stata costruita su questa base”.
Nello stesso periodo è stato avviato anche il procedimento legale, con un gruppo di azionisti che hanno accusato Meta e Zuckerberg di non aver informato in modo completo gli utenti di Facebook sui rischi legati all’uso improprio dei loro dati personali da parte di Cambridge Analytica.
Il 2 maggio del 2018 la società britannica è stata sciolta.

Mark Zuckerberg, ad di Meta, durante un Keynote nel 2019. Foto: Wikimedia Commons.
Finanziatori di Cambridge Analytica
Dietro alla società britannica c’erano diverse personalità di spicco nel mondo politico.
Fra i tanti, il fondatore e principale investitore Robert Mercer, che, oltre ad aver collaborato durante la campagna per la Brexit con il fondatore dello Ukip – il partito per l’indipendenza del Regno Unito –, Nigel Farage.
Mercer ha donato al partito britannico diversi servizi di analisi dei dati e ha sostenuto la campagna presidenziale di Trump.
Dal 2006 al 2016, il fondatore di Cambridge Analytica ha finanziato per oltre 30 milioni di dollari campagne elettorali statunitensi, secondo quanto si legge sul Washington Post, piazzandosi al terzo posto tra i finanziatori del partito repubblicano.
A investire nell’azienda di analisi dati è stato anche lo stratega della comunicazione Steve Bannon, per diversi anni direttore di Breitbart, un giornale digitale dell’estrema destra statunitense.
Ma a convincere Mercer e Bannon a creare la società è stato Alexander Nix, esperto di comunicazione ed ex amministratore delegato di Cambridge Analytica.

Alexander Nix, ex ad Cambridge Analytica al Web Summit 2017 di Lisbona. Foto: Wikimedia Commons, Sam Barnes.
Con Facebook
Facebook ha giocato un ruolo centrale nell’attività di Cambridge Analytica.
Nel 2014, Aleksandr Kogan, un ricercatore dell’università di Cambridge, ha sviluppato l’applicazione This is your Digital Life.
L’app permetteva agli utenti di ottenere profili psicologici e previsionali del proprio comportamento sottoponendoli a dei quiz. E per poterla utilizzare, era sufficiente registrarsi a Facebook.
Una volta effettuato il login, si accettava che il sito ottenesse alcuni dei propri dati personali come nome, cognome, email, sesso ed età. Ma non solo, anche quelli sulla rete delle amicizie sulla piattaforma.
I problemi arrivavano nel momento in cui Kogan condivideva i dati degli utenti di Facebook, raccolti lecitamente, con Cambridge Analytica. Così facendo, infatti, violava i termini d’uso di Facebook.
L’ex dipendente, tra l’altro, ha sostenuto che il social media di Meta fosse a conoscenza di questa violazione da due anni dall’inizio della collaborazione, senza però intervenire in alcun modo.
Solo il 16 marzo 2018 Facebook ha sospeso l’account della società e di Kogan, dichiarando di aver ricevuto delle segnalazioni sull’uso improprio di alcuni dati raccolti sulla piattaforma.
Il passaggio di informazioni dall’applicazione a Cambridge Analytica era avvenuto, di fatto, senza che gli utenti fossero stati informati sull’utilizzo che si sarebbe fatto dei loro dati e senza aver prestato il proprio consenso.

Donald Trump con un berretto Maga nel 2016. Fonte: Wikimedia Commons.
Per Trump
Durante la campagna elettorale di Trump, nel 2016, l’attuale presidente degli Stati Uniti aveva affidato a Cambridge Analytica la raccolta dei dati per la sua campagna presidenziale.
Le indagini condotte fino a oggi hanno accertato che in quel periodo furono utilizzati numerosi account falsi e bot per diffondere fake news e altri contenuti finalizzati a screditare Hillary Clinton, allora avversaria di Trump.
In un video pubblicato dall’emittente televisiva britannica Channel 4, lo stesso ex ad di Cambridge Analytica, Nix, ha spiegato allo stesso giornalista come sia possibile incastrare un politico preparando uno scandalo ad hoc.
Oltre la causa
Un’altra figura chiave è stata quella di Wylie, ex dipendente e fonte principale delle inchieste di Guardian, New York Times e Channel 4, che ha portato alla luce le attività di Cambridge Analytica e il suo legame con Facebook.
La causa intentata contro Zuckerberg puntava a ottenere un rimborso di miliardi di dollari per sanzioni e spese legali.
Gli azionisti avevano accusato Meta di non aver informato in modo completo gli utenti di Facebook sui rischi legati all’uso improprio dei loro dati personali da parte di Cambridge Analytica.
Secondo gli azionisti stessi, i dirigenti di Facebook avrebbero ripetutamente violato un ordine di consenso stipulato nel 2012 con la Federal Trade Commission, nel quale l’azienda si impegnava a non raccogliere né condividere dati personali degli utenti senza il loro consenso.
La causa sosteneva che Facebook avesse poi venduto dati degli utenti a partner commerciali, rimuovendo anche avvisi obbligatori dalle impostazioni sulla privacy.
Nonostante quanto emerso dall’inchiesta, l’ad di Cambridge Analytica ha continuato a sostenere di non possedere né utilizzare dati personali illecitamente acquisiti dal social media.
Dichiarazioni poi contraddette da Wylie, il quale ha mostrato una serie di prove come e-mail, fatture, contratti e trasferimenti bancari che rivelavano come oltre 50 milioni di dati, per la maggior parte appartenenti a elettori statunitensi, erano stati estratti da Facebook.
Durante la sua testimonianza al Congresso statunitense del 10 aprile del 2018 e alla Commissione europea il successivo 22 maggio, Zuckerberg si è scusato per la violazione dei dati.
“È stato un mio errore e ne sono dispiaciuto. Io ho creato Facebook, io lo mando avanti, e sono io il responsabile di ciò che accade”, aveva detto, sostenendo che nel 2015 fosse venuto a sapere che le informazioni di circa 87 milioni di utenti erano state condivise da Kogan con Cambridge Analytica e avesse poi chiesto a quest’ultima di cancellarle.
Il Garante italiano per la protezione dei dati personali ha applicato a Facebook una sanzione di un milione di euro per gli illeciti compiuti.
Ora è arrivato l’accordo.
Gli azionisti chiedevano che Zuckerberg e altri dirigenti rimborsassero personalmente alla società tutte le multe e le spese legali, stimate in oltre otto miliardi di dollari, oltre alla sanzione da cinque miliardi di dollari già comminata dalla Ftc nel 2019 e a una class action da 725 milioni di dollari del 2022.
Con il patteggiamento, invece, Zuckerberg chiude questo capitolo mediando con la controparte.