Social media e populismi, chi ha cambiato chi

Di il 21 Giugno, 2025
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Le piattaforme favoriscono la radicalizzazione e la leadership individuale sovrasta il partito. Ecco perché le forze politiche, anche quelle moderate, sembrano scegliere una comunicazione populista
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata sull’inserto L’Economia Civile di Avvenire dallo stesso autore, il 26 febbraio 2025.

Nelle ultime elezioni in Europa, i partiti populisti hanno ottenuto risultati significativi in diversi Paesi.

Un exploit che ha scosso gli equilibri politici del continente: da Jordan Bardella in Francia, ad Alice Weidel in Germania, passando da Călin Georgescu in Romania e André Ventura in Portogallo.

Sono loro i nuovi interpreti di una comunicazione che ha trovato nei social media il terreno perfetto per crescere, fidelizzare e trasformare la popolarità in voti.

Una comunicazione costruita su una grammatica istintiva, diretta, a tratti brutale, ma estremamente efficace nel linguaggio digitale.

Nuovo senza controlli

A differenza della tradizionale comunicazione politica, spesso ingessata da toni istituzionali e formule vuote, i movimenti populisti sanno usare i social per costruire consenso e identità, oltrepassando i filtri dei media e capitalizzando sull’indignazione.

Basti pensare all’intervista in diretta su X di Elon Musk a Weidel, leader del partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland: un confronto con modalità televisive, ma senza fact-checking o moderazione dei contenuti.

Video brevi, meme, slogan comprensibili, micro-targeting: ogni contenuto è progettato per catturare l’attenzione, attivare emozioni forti e generare viralità.

La paura dell’immigrazione, il senso di insicurezza economica, il rancore verso le élite sono tradotti in messaggi polarizzanti che si diffondono rapidamente, soprattutto tra i più giovani.

Non è solo una questione di canali, ma di tono e di forma.

I leader populisti si presentano come influencer più che politici: parlano come gli utenti, usano la loro stessa lingua, rispondono ai commenti, si mostrano autentici e non convenzionali.

Bardella si muove come una pop star su TikTok, Weidel ha costruito una fan base solida, Georgescu e Ventura fanno leva su narrazioni che sembrano uscite più da un video reaction che da un comizio. E funziona.

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Alcuni manifestanti Maga assaltano il Campidoglio degli Stati Uniti a Washington DC, il 6 gennaio 2021. Foto: Wikimedia Commons.

Al voto

I social media diventano spazio di identificazione e partecipazione, diventano realtà, soprattutto per una generazione che spesso si sente esclusa dal dibattito pubblico. È qui che si gioca la partita del rapporto tra giovani e politica.

Storicamente, le forze politiche di sinistra hanno intercettato i più giovani su argomentazioni relative a temi progressisti come giustizia sociale, ambientalismo e diritti civili.

Oggi è la destra populista a parlare il loro linguaggio e a intercettarne la rabbia e la frustrazione, relativamente a problemi a loro vicini come la disoccupazione, l’accesso alla casa, un diffuso senso di precarietà.

La promessa di “cambiare tutto” fatta dai populisti sembra risuonare come un’eco delle contestazioni giovanili di un tempo, ma in chiave reazionaria.

Soprattutto tra gli uomini under 35, il successo della destra radicale si intreccia con una crisi identitaria: molti di loro imputano alle politiche che mirano alla parità di genere la causa di una perdita di status e di un senso di isolamento dovuto invece a difficoltà economiche e mancanza di luoghi di aggregazione.

In questo vuoto, i social agiscono come moltiplicatori di appartenenza e radicalizzazione.

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L’ex candidato alle primarie del partito democratico e senatore del Vermont, Bernie Sanders, durante un comizio nel 2019. Foto: Unsplash.

Leader cercasi

Questo fenomeno, unito alla personalizzazione della leadership, farebbe pensare che lo stile comunicativo di tutte le forze politiche, incluse le più moderate, si stia equiparando a quello populista.

Per alcuni aspetti è così, ma agli estremi si fanno più aggressivi i riferimenti a un popolo-community da mobilitare, spesso in chiave anti-politica.

La sinistra americana, dal canto suo, osserva e si interroga.

C’è chi, come Alexandria Ocasio-Cortez, deputata democratica di origini portoricane e la più giovane ad essere stata eletta al Congresso, cerca di costruire un’alternativa populista progressista, con l’appoggio di Bernie Sanders e una presenza mediatica forte.

Ma la strada è lunga e in salita.

Per ora, la destra ha capito meglio come interpretare il presente: parlare in maniera semplice, sembrare vicini, occupare in modo capillare gli spazi mediatici, fare leva su un sentimento di rivalsa.

E finché i competitor non sapranno uscire dalla loro comfort zone comunicativa, resteranno inascoltati nel rumore di fondo dell’algoritmo.

Non è solo una questione di strategia digitale, ma di capire come oggi si forma il consenso, si costruisce l’identità e si dà voce al malessere.

Chi riesce a far sua la grammatica della rete, basata sulle emozioni più che sui contenuti, vince.

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