La pubblicità non funziona più nei video podcast, a premiare è solo l’audio

Di il 25 Dicembre, 2025
Intanto YouTube continua a spingere sul podcasting video. Tra le novità in arrivo c'è uno strumento che convertirà automaticamente le produzioni audio in video
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Chi non ha mai pensato di fare un podcast alzi la mano. Probabilmente su 10 persone forse solo una non ci ha davvero mai riflettuto.

Tra i primi che nel podcast hanno intravisto un’opportunità di guadagno in più ci sono i pubblicitari. Ma secondo un articolo comparso sul Wall Street Journal oggi i video podcast non sarebbero più premianti per questa categoria di creativi.

In una ricerca condotta da Oxford Road insieme alla piattaforma Podscribe emerge che su oltre mille campagne analizzate, le pubblicità degli host su YouTube generano fino al 25% di conversioni in meno rispetto agli stessi messaggi veicolati in contesti solo audio.

Insomma, l’audio in questo caso “acchiappa” più del video. Ecco per quali ragioni.

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La pubblicità nei video podcast non rende più

Secondo Giles Martin, responsabile strategico e decisionale di Oxford Road, la differenza nasce dal modo in cui il pubblico recepisce i contenuti.

Chi usa app come Apple Podcast o Spotify sceglie attivamente cosa ascoltare; su YouTube, invece, molti utenti atterrano su un episodio perché suggerito dall’algoritmo. Il diverso funzionamento delle piattaforme cambia il livello di attenzione e il coinvolgimento.

Inoltre, l’ascolto tradizionale crea un rapporto più diretto con la voce dell’host, mentre l’ambiente visivo di YouTube — thumbnail, sidebar, notifiche — moltiplica le distrazioni. Se un contenuto non cattura subito, è facilissimo perderlo nei primi secondi.

Google, dal canto suo, sostiene che gli inserzionisti conoscono bene le differenze tra audio e video e calibrano già le loro strategie di conseguenza.

Ma nonostante queste differenze nette di fruizione, gli spazi pubblicitari nei podcast — audio o video — vengono spesso venduti allo stesso modo e agli stessi prezzi.

Secondo Martin, però, l’approccio “chiuso” di Google alla misurazione rende complicato confrontare in modo uniforme le performance tra piattaforme video e ambienti audio.

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Dall’audio al video

Per anni il podcasting è stato un territorio esclusivamente sonoro. Poi, per ampliare il pubblico, molti creator hanno iniziato a caricare le versioni video dei loro show su YouTube, attratti dalla sua enorme base utenti e dalle opportunità di monetizzazione.

Il risultato? Nel 2024 YouTube ha superato Spotify diventando la piattaforma di podcast più utilizzata negli Stati Uniti, secondo Edison Research.

La stessa YouTube ha dichiarato che oltre un miliardo di utenti al mese guarda contenuti podcast sulla piattaforma. E oggi circa il 71% dei podcaster americani produce anche una versione video dei propri episodi.

Realizzare pubblicità che abbiano senso, però, sia per chi segue il video che per chi lascia il player in background non è semplice.

Alcuni creator investono in spot curati, quasi televisivi, per mantenere alta l’attenzione mentre altri si limitano a leggere il messaggio guardando la camera, senza aggiungere elementi visivi che possano arricchire la narrazione.

Eppure, per diversi brand, il formato video sta dando risultati concreti.

Melton Littlepage, CMO di 1Password, racconta al Wall Street Journal che la presenza nei podcast video ha migliorato le performance delle campagne. L’azienda fornisce ai podcaster materiali visivi e linee guida, ma lascia agli show la libertà di costruire la pubblicità finale.

Secondo Littlepage, quando l’host integra il messaggio in modo naturale, coerente con il tono del programma, il pubblico resta agganciato.

Anche BetterHelp sta investendo sempre di più nel formato video.
Sara Brooks, responsabile della crescita dell’azienda, al Wall Street Journal confessa che considera i podcast un pilastro del marketing del brand e prevede che nei prossimi anni l’azienda aumenterà la produzione di contenuti visivi, passando da semplici letture on‑camera a segmenti più articolati e completamente prodotti.

YouTube, intanto, continua a spingere sul podcasting video.

Tra le novità in arrivo c’è uno strumento che convertirà automaticamente i podcast audio in video, anche senza riprese in studio e una funzione per sostituire facilmente i segmenti sponsorizzati nei video, evitando che rimangano online dopo la fine delle partnership.

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Chiara Buratti
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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).