Negli ultimi anni abbiamo ripetuto, spesso con amara lucidità, che l’ecosistema dei media tradizionali è entrato in una fase di declino strutturale.
I ricavi pubblicitari sono crollati, l’audience si è sgretolata, la distribuzione si è frammentata in mille piattaforme.
Eppure, proprio mentre questa trasformazione accelera, assistiamo a un fenomeno che considero rivelatore: alcune delle figure più influenti al mondo considerano ancora la CNN un asset strategico.
La contesa attorno a Warner Bros Discovery (WBD) è senza dubbio una gigantesca operazione di M&A.
Ma dietro questa operazione si cela una dimostrazione di quanto, persino nell’era dello streaming e dell’intelligenza artificiale, un grande brand dell’informazione conservi una forza simbolica e politica fuori dal comune.

Perché Trump vuole la CNN
Tra i protagonisti di questa vicenda c’è Donald Trump, e non è un dettaglio.
Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato pubblicamente di voler essere coinvolto nella decisione sull’eventuale via libera all’acquisizione di WBD.
Ed è noto quanto il tycoon detesti la CNN, spesso bersaglio delle sue critiche pubbliche, come dimostra il recente attacco alla conduttrice Kaitlan Collins su Truth Social, definita “stupida” e “nasty”.
Ed è qui che entra in gioco un potente alleato del presidente, la famiglia Ellison.
Nelle trattative con Paramount-Skydance, il candidato acquirente David Ellison, secondo fonti vicine all’operazione sentite dal Financial Times, ha lasciato intendere all’amministrazione americana che, se la sua offerta da 108 miliardi fosse accettata, l’emittente televisiva potrebbe adottare una linea editoriale “più bilanciata”.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Fonte: Shutterstock
L’incognita (ostile) di Paramount
In caso di acquisizione di WBD da parte di Paramount, pari a 108 miliardi di dollari, probabilmente assisteremmo alla fusione CBS–CNN, che cambierebbe il panorama dell’informazione americana.
Paramount ha già dimostrato la volontà di imprimere un’impronta netta sui suoi asset editoriali.
Dopo l’acquisizione da 150 milioni del sito conservatore The Free Press, Bari Weiss è stata nominata editor-in-chief di CBS News, con conseguente revisione dei programmi e delle redazioni.
È inevitabile, dunque, che tra i giornalisti di CNN circoli inquietudine: quali ricadute avrebbe un accorpamento con CBS? Quale sarebbe la linea editoriale? Quanto profondi sarebbero i tagli?
Sul piano finanziario, secondo alcuni analisti, dalla fusione tra le due realtà nascerebbero ottime sinergie.
E dal punto di vista strategico, l’idea di affiancare 60 Minutes alla potenza globale di CNN non è certo priva di logica.
Ma unire due culture editoriali diverse comporta rischi reali.
E il fatto che figure come Larry Ellison, padre di David e fondatore di Oracle, e Weiss, riferimento dell’informazione anti-cancel culture si ritroverebbero ai piani alti della rete amplifica ulteriormente il peso politico dell’operazione.

David Ellison, CEO di Paramount-Skydance
L’opzione Netflix
L’accordo da 83 miliardi proposto da Netflix resta momentaneamente in pole position.
La piattaforma streaming non ha interesse diretto per CNN, ereditarla significherebbe aggiungere un fronte politico molto complesso.
Per questo l’offerta esclude deliberatamente la rete televisiva, che verrebbe scorporata assieme agli altri canali via cavo (TNT, Discovery, Food Network) in una nuova società quotata, Discovery Global, guidata dal CFO di WBD Gunnar Wiedenfels.
Qui si apre un’altra possibilità che ritengo significativa, ossia che la CNN potrebbe diventare un facile target di acquisizione.
Nella fase successiva allo spin-off, non è escluso che private equity, gruppi internazionali o persino Paramount tornino a guardare all’emittente come pezzo mancante del loro puzzle editoriale.
È una prospettiva che si basa su una verità semplice: nonostante la crisi del modello via cavo, la CNN mantiene una reputazione globale difficilmente replicabile.
Ed è qui che, da osservatore, io vedo il paradosso della nostra epoca.
Mentre discutiamo, a volte ossessivamente, del declino dei media tradizionali, del calo lineare degli ascolti e dell’avanzata del digitale, assistiamo contemporaneamente a un costante interesse (vedi il caso Repubblica) da parte di importanti personaggi pubblici che dispongono di enormi capitali.
CNN è in difficoltà, certo. Ma resta un simbolo. E i simboli, quando si parla di potere, raramente perdono valore.

Ted Sarandos, co-CEO di Netflix
Il valore che resiste
Per questo considero questo dossier un segnale da non sottovalutare.
Nell’industria dello streaming, dove tutto sembra liquido e interscambiabile, un grande brand dell’informazione continua a rappresentare un capitale politico e culturale che nessun algoritmo (ad oggi) può sostituire.
Che sia Trump a volerla influenzare, gli Ellison a volerla integrare o Netflix a volerla tenere fuori dal perimetro del deal, CNN è ancora l’oggetto del desiderio.
Nonostante i numeri, nonostante la crisi del cavo, nonostante la retorica sul “declino dei media”.
E questa è la prova definitiva che l’informazione, quando diventa istituzione, conserva una forza che nessuna trasformazione tecnologica riesce a cancellare.
Lo dimostra anche l’interesse dei fondi arabi coinvolti da Ellison nella sua offerta ostile: per loro si tratta di una delle rare possibilità di entrare in un grande gruppo editoriale americano e ampliare così il proprio soft power, un obiettivo che in condizioni normali sarebbe difficile da raggiungere.
CNN è stanca, certo. È stata messa alla prova da un anno “esaurente e memorabile”, come ha scritto il CEO Mark Thompson.
Ma resta, nel gioco mondiale del potere, un asset che fa gola ai presidenti, ai miliardari, ai fondi internazionali (anche quelli arabi).




