
Foto copertina: Satya Nadella, ad di Microsoft, nel 2017. Foto: Brian Smale, Microsoft, Wikimedia Commons.
Ci è voluto del tempo, ma sembra che qualcosa stia iniziando a cambiare nel rapporto fra gruppi editoriali e società di intelligenza artificiale.
E l’ultima proposta di Microsoft, un marketplace business-to-business – b2b – che regoli la relazione fra media e aziende di IA, sembra confermare questa evoluzione.
Da quando i chatbot basati sui modelli linguistici di grandi dimensioni – large language models, Llm – si sono diffusi e sono diventati uno strumento più rilevante anche per cercare le notizie, le testate hanno cercato di arginare l’uso improprio e non retribuito dei propri contenuti giornalistici firmando accordi di licenza con le big tech.
Era, di fatto, l’unica opzione disponibile.
Ora iniziano a emergere nuove alternative e l’idea di Microsoft potrebbe segnare un precedente importante per spingere le altre multinazionali della tecnologia a impegnarsi di più per riconoscere il valore dei prodotti editoriali.

La sede di Microsoft a Monaco di Baviera. Foto: Wikimedia Commons.
Prezzo del valore
Come riporta Axios, Microsoft ha discusso il potenziale nuovo programma al Microsoft Partner Summit, un evento su invito che il gruppo statunitense ha tenuto nel Principato di Monaco.
Durante una presentazione, è stata mostrata una slide che recitava “Meritate di essere pagati in base alla qualità della vostra proprietà intellettuale”.
Il Publisher Content Marketplace – il nome utilizzato dalla società guidata dall’amministratore delegato Satya Nadella – sarebbe appunto un marketplace b2b pensato in maniera specifica per creare un modello di business sostenibile per gli editori.
Le testate potranno vendere i propri contenuti agli strumenti IA di Microsoft, ricevendo non un compenso fisso – come per gli accordi di licenza – ma proporzionato all’effettivo utilizzo da parte degli stessi servizi di IA.
Nella versione pilota di Pcm, che dovrebbe essere testata insieme a un gruppo ristretto di editori, l’acquirente iniziale sarà Copilot, utilizzato come primo cliente per acquistare i contenuti dei media.
Se il progetto avrà successo, Microsoft amplierà l’offerta, includendo gli altri suoi servizi di IA e aprirà ad altri giornali la possibilità di partecipare al programma.

Aravind Srinivas, cofondatore e ad di Perplexity. Foto: Wikimedia Commons.
Nuovi modelli
Quello di Microsoft non è l’unico esempio di come alcune grandi società di tecnologia stanno sperimentando nuovi approcci nei confronti dei gruppi editoriali.
Di recente, Perplexity ha lanciato l’abbonamento Comet Plus all’interno del suo Publishers’ Program, introducendo un nuovo modello di remunerazione per le testate.
In aggiunta all’esistente modello di revenue sharing – una collaborazione pubblicitaria che consente agli editori di ottenere parte dei ricavi generati quando i loro contenuti vengono utilizzati nelle risposte di Perplexity che includono annunci – l’azienda ha inaugurato un abbonamento supplementare da cinque dollari al mese.
Attraverso Comet Plus, i giornali non vengono più remunerati solo tramite la quota di ricavi pubblicitari legata alla visibilità dei contenuti, ma vengono condivise anche le entrate stesse generate dalle iscrizioni al servizio.
Dall’altra parte, anche alcuni gruppi editoriali hanno maturato la consapevolezza che non si può vivere di soli accordi di licenza.
L’Economist, ad esempio, non ha stretto collaborazioni di questo tipo con le aziende di IA, né ha mai investito molte risorse per intentare loro cause per violazioni di copyright.
Sta invece seguendo una strategia che considera i chatbot come concorrenti, pensati per offrire al consumatore prodotti editoriali già completi, e ha adottato un modello aziendale proiettato in un mondo post-search, in cui i media non possono più contare sul traffico esterno proveniente da Google e devono puntare su fonti alternative di guadagno, dagli eventi alla consulenza per le aziende.