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Lynn Forester de Rothschild, imprenditrice e filantropa britannica, presidente della holding E.L. Rothschild, ha messo in vendita la quota detenuta dalla società in The Economist Group, l’editore londinese che pubblica l’omonima rivista.
La partecipazione della famiglia Rothschild ammonta al 26,7% del capitale complessivo del gruppo.
Lo riporta Axios, sottolineando come la vendita rappresenterebbe il maggiore cambiamento degli ultimi dieci anni nell’assetto proprietario della testata.
L’ultimo precedente rilevante era avvenuto nel 2015, con l’acquisto da parte di Exor, holding della famiglia Agnelli, della maggior parte della quota del 50% detenuta dalla casa editrice Pearson.
In quell’occasione, la partecipazione del gruppo italiano era salita dal 4,7% all’attuale 43,4%, per un investimento di 469 milioni di sterline.
Le restanti azioni di Pearson erano state riacquistate dall’editore.

Foto: Wikimedia Commons.
Quasi previsto
La notizia era nell’aria da circa tre settimane, quando Bloomberg aveva scritto che Lynn Forester de Rothschild stava valutando la vendita di circa il 20% delle azioni con diritto di voto.
Come sottolineava Bloomberg, Rothschild sta collaborando con la società di consulenza Lazard per cedere la propria quota a investitori facoltosi e società di gestione patrimoniale familiare.
L’operazione complessiva potrebbe arrivare fino a 400 milioni di sterline, specifica Axios, citando persone informate.
Una valutazione che, secondo una fonte sentita dalla testata statunitense, porterebbe a stimare il valore del gruppo editoriale in circa 800 milioni di sterline.
La decisione di Rothschild è arrivata in un momento positivo per l’Economist, che al 31 marzo ha chiuso l’esercizio annuale con 368,5 milioni di sterline di fatturato e un margine operativo di 48,1 milioni, in crescita rispetto ai 12 mesi precedenti.
Aumentano anche gli abbonati, che hanno raggiunto 1,25 milioni, un incremento del 3% rispetto all’anno precedente.
Inoltre, i nuovi investitori troveranno una testata che ha adottato un approccio innovativo sul fronte dell’intelligenza artificiale.
Invece di stringere accordi di licenza o combattere le società di IA in tribunale, il settimanale britannico ha scelto di considerare OpenAI e simili come concorrenti e, di conseguenza, puntare su un modello cosiddetto post-Google e post-search, basato sulla differenziazione delle fonti di ricavo, relazioni dirette con pubblico e clienti e la visibilità del marchio.
Il magazine ha anche avviato una collaborazione con NotebookLM, uno strumento IA sviluppato da Google che consente di esaminare dei documenti caricati dagli utenti, rispondere a domande e generare riassunti e contenuti basati solo sulle fonti selezionate.

Foto: Free Stock.
Nel cda
Come specificato sul sito del gruppo editoriale, “nessun individuo o azienda può controllare più del 50% totale del capitale azionario e nessun azionista può esercitare più del 20% dei diritti di voto in un’assemblea della società”.
Alla stessa Exor, che possiede il 43,4% delle azioni totali, spetta dunque il 20% dei diritti di voto.
In teoria, quindi, se un unico azionista acquistasse l’intero pacchetto delle azioni di Rothschild, pari al 26,7% del totale, esprimerebbe comunque il 20% dei diritti di voto nell’assemblea degli azionisti.
In più, potrebbe avere diritto a nominare almeno un membro del consiglio di amministrazione, in proporzione al suo peso azionario.
A oggi, il cda del gruppo è composto da nove membri, tra cui l’amministratrice delegata Lara Boro, la direttrice della rivista Zanny Minton Beddoes e due rappresentanti della holding della famiglia Agnelli: Suzanne Heywood e Diego Piacentini, rispettivamente chief operation officer e advisor di Exor.