Foto copertina: Pexels.
La mia prima campagna elettorale al fianco di un candidato risale alle elezioni regionali del 2000 in Campania, con Antonio Bassolino che, dopo l’esperienza da sindaco di Napoli, si apprestava a guidare la regione per il decennio successivo.
Da quella prima volta ho continuato, anno dopo anno, a frequentare i candidati.
Ne ho conosciuti diversi, provenienti da ogni angolo del Belpaese: donne e uomini, giovani o meno, molti al loro debutto elettorale, altri invece già con un’esperienza alle spalle – che spesso ha finito per condizionarli più del dovuto.
Ciascuno con un carattere unico, una personalità da dover comprendere, a volte da assecondare e sostenere, altre ancora da smussare, se non, addirittura, da contrastare. Talvolta anche in maniera decisa, per salvaguardare non soltanto la campagna, ma la reputazione stessa del candidato, che vale ha una vita molto più lunga della circoscritta battaglia per il consenso.
Da molti di loro ho avuto la possibilità di imparare e con tutti, o quasi, ho sempre potuto sfruttare gli errori commessi con i loro predecessori.
È questa è l’arma in più di uno spin doctor: individuare e correggere ogni singolo sbaglio già commesso.
Con alcuni, infine, è nato un legame di sincera amicizia che si è mantenuto nel tempo e non è stato mai condizionato dal risultato.

Rosa Russo Iervolino, sindaca di Napoli dal 2001 al 2011, con Antonio Bassolino, sindaco di Napoli dal 1993 al 2000 e presidente della regione Campania dal 2000 al 2010, fotografati nel 2005 a Napoli. Foto: Wikimedia Commons.
Prima del voto
Nelle settimane che precedono il voto il candidato tende spesso a essere una persona molto fragile a livello emotivo e psicologico.
E quanto più ci si avvicina alla scadenza elettorale, al d-day in cui una carriera politica – se si può utilizzare questa espressione – cambierà, nel bene o nel male, tanto più questa fragilità cresce.
Una condizione che può essere dannosa per l’esito del voto stesso, soprattutto quando il candidato si circonda e si fa influenzare dagli umori di una cerchia di persone che – come in un cordone sanitario di supporto, fatto di affetti, fedeltà e comprensione – diventa troppo numerosa e condizionante.
Nelle varie campagne elettorali a cui ho partecipato – sia quelle più improvvisate, sia quelle più strutturate – mi sono spesso imbattuto in questo problema, i cui effetti hanno sempre contribuito all’esasperazione del clima generale della campagna, in misura più o meno rilevante.
In questo contesto di instabilità, la fragilità umana, condizione ontologica della natura transitoria del candidato, si manifesta con più insistenza da un certo punto in avanti, ma cambiando la sua natura e funzione.
Lo spartiacque coincide molte volte con la settimana che precede l’apertura dei seggi.
Da quel momento, fino allo spoglio, subentra un nuovo tipo di solitudine, che può aiutare a scansare e disinnescare ogni tipo di paura pregressa: il timore di arrivare nel limbo dei primi dei non eletti, l’ansia di un tempo che all’improvviso inizia a scorrere troppo velocemente, l’incubo del tradimento, anche da parte delle persone più fidate.
La solitudine dell’ultimo miglio prima delle urne è una compagna di viaggio riflessiva, in grado anche di dare conforto e, a volte, speranza.
Una condizione passeggera dello stato d’animo che può essere formativa e dalla quale molti candidati escono più forti, migliori e con una consapevolezza che diversamente non avrebbero raggiunto.
Forse, senza aver sperimentato questa immersione nelle acque profonde della propria personalità e la successiva risalita al trambusto del post elezioni, nessun candidato potrà davvero dire di essere mai stato tale.




