
Foto copertina: Andrea Prencipe, professore ed ex rettore dell’università Luiss Guido Carli di Roma dal 2018 al 2024. Foto: Andrea Prencipe.
Italo Calvino sta molto a cuore ad Andrea Prencipe. Ne sottolinea spesso la visione potente e affascinante del tendere al nuovo e rischiare l’incognito, pur custodendo il pensiero critico, tratto tipico e unico dell’essere umano.
Oggi, mentre l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa si è diffuso a ogni livello di conoscenza e competenza, questa difesa passa dalla tutela dell’“attributo gelosamente umano” del saper formulare le domande.
L’ars interrogandi diventa insostituibile generatore di creatività e antidoto alla “dittatura delle risposte”, come lo stesso Prencipe ha definito uno dei vizi capitali diffusi negli ultimi anni ne Il visconte cibernetico, secondo saggio dedicato all’autore italiano, scritto a quattro mani con l’editorialista del Corriere della Sera Massimo Sideri.
Il rischio, diventato abitudine, è infatti quello di “esternalizzare il pensiero a un chatbot o a qualsiasi algoritmo”, che si traduce nel porre quesiti senza senso critico, accettando in modo passivo ogni contenuto proveniente da ChatGpt e simili.
Con Sideri, il professore di Organizzazione ed Innovazione dell’ateneo romano – ha scritto tre libri su Calvino, nato il 15 ottobre del 1923 a Santiago de las Vegas, 20 chilometri a sud dell’Avana, a Cuba.

Lo scrittore Italo Calvino in bicicletta in Versilia, in Toscana, nel 1970. Calvino è nato a Santiago de Las Vegas de La Habana, il 15 ottobre 1923, e morto a Siena, 19 settembre 1985. Foto: Wikimedia Commons.
Il terzo saggio, intitolato Il cavaliere artificiale, è stato pubblicato ad agosto.
È però nel primo, L’innovatore rampante, uscito nel 2022, che Prencipe e Sideri introducono il “metodo Calvino”, un rapporto dialettico tra culture umanistica e scientifica, in cui l’imprescindibile rigore tecnico si arricchisce della forza ispiratrice dell’immaginazione, generando innovazione.
Epistème e tecnica non sono opposti, ma complementari.
Questo binomio ha ispirato anche i due mandati di rettorato del professore della Luiss – dal 2018 al 2024 – durante i quali sono state introdotte, non senza difficoltà, una serie di novità rilevanti sul piano didattico.
A iniziare dal modello educativo definito enquiry-based, attraverso cui gli studenti partecipano in maniera attiva a formulare le domande di ricerca e a strutturare l’analisi del problema.
L’ex rettore ha poi rimosso la versione in lingua italiana del corso di relazioni internazionali, rendendolo disponibile soltanto in inglese, e ha introdotto corsi e laboratori di IA già nel 2018, in linea con la sua visione interdisciplinare dell’alta formazione, corsi e laboratori di studi umanistici.
Senza una metodologia rigorosa, l’IA viene utilizzata solo per ottenere una risposta immediata. “È così, non possiamo farci niente. Che ci piaccia o no, siamo animali abitudinari”, dice.

Andrea Prencipe insegna Organizzazione ed Innovazione alla Luiss. Foto: Andrea Prencipe.
Cambiamenti così profondi, però, non sono sempre semplici da accettare e da far accettare agli altri. Soprattutto all’inizio.
Prencipe, originario di Manfredonia in provincia di Foggia, in Puglia, ha sostenuto queste trasformazioni, enfatizzandone i risultati positivi e difendendole quando questi erano meno evidenti.
Le scelte, però, hanno pagato.
Nel 2023, la Luiss ha fatto il suo ingresso tra le prime 15 università al mondo nell’area Politics del Qs ranking, confermando la posizione anche nel 2024.
Oltre alla lunga carriera da ricercatore e professore – spesa tra Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Belgio, e Stati Uniti – Prencipe è un volto noto anche al pubblico televisivo italiano, dove si distingue per una precisa scelta stilistica: il papillon, che colleziona in ogni colore e fantasia nella sua casa di Roma, al posto della cravatta.
Quando ha deciso che sarebbe diventato il suo marchio di fabbrica in tv e nelle occasioni pubbliche?
È stata una coincidenza. A un convegno della Luiss, mentre ero prorettore vicario, ho conosciuto Luciana delle Donne, un’ex dirigente bancaria che ha fondato e dirige la onlus Made in Carcere, un laboratorio di cucito in cui lavorano le detenute del carcere femminile di Lecce. È stata lei a regalarmi il mio primo papillon. Oggi ne ho più di 50, ma, scaduto il termine del mio rettorato, li indosso solo in occasioni formali.
Dalla forma al contenuto: durante i suoi sei anni da rettore è stato più semplice introdurre il modello enquiry-based fra gli studenti o i colleghi?
I miei alunni l’hanno capito e si sono mostrati curiosi e con le idee chiare. Chiedevano, attraverso questa modalità, di affrontare meno argomenti, ma in modo più approfondito. Ed era proprio questo il senso del corso. Ai docenti, invece, non l’ho imposto: ho cercato di guidarli a integrare il modello. Quando ho comunicato ai colleghi di aggiornare il syllabus dei propri corsi, alcuni mi hanno chiesto perché cambiarlo, dato che il loro funzionava bene, così com’era, da 20 anni. Il motivo era semplice, ma fondamentale: preparare al meglio la classe dirigente del futuro. Quindi, sì, un po’ di resistenza l’ho incontrata.
È un problema diffuso ben al di fuori dell’università.
I latini distinguevano tra lectio e disputatio. L’università italiana si è dimenticata della seconda parte, quella che nelle università anglosassoni corrisponde al seminar. Per questo, ho detto: “cari colleghi è ora di tornare al passato”.
Come si evita, però, l’eccesso di dover dibattere anche quando non si ha nulla da dire, soltanto perché il metodo lo impone?
Includendo nella valutazione finale anche quello che viene detto a lezione. Altrimenti si rischia presto una deriva del metodo. In Inghilterra, il dibattito è diventato una disciplina e si è andati un po’ oltre. Durante il suo periodo da primo ministro britannico, Boris Johnson veniva criticato con l’accusa di essere in grado di discutere di tutto, ma di non sapere nulla.

Italo Calvino e Alberto Moravia nella libreria Einaudi di Via Vittorio Veneto a Roma, nel 1962. Foto: Wikimedia Commons.
Entra in gioco quello che, con Massimo Sideri, avete definito “metodo Calvino”, in cui la capacità di porre domande in maniera indipendente è funzionale a non accontentarsi di risposte preconfezionate.
Come insegna proprio Calvino, è essenziale, oggi più che mai, possedere il tratto gelosamente umano del saper inquadrare il problema, dunque saper formulare i giusti quesiti. Questa capacità deve essere accompagnata dalla competenza tecnica.
Uscendo dall’ambito accademico, come si applica questo metodo a una situazione quotidiana come l’uso dell’intelligenza artificiale generativa?
Bisogna innanzitutto imparare a sperimentarla, l’IA. Ma identificare e contestualizzare una questione non è una competenza tecnica, è una facoltà tipicamente umana. Il secondo aspetto problematico, soprattutto per le generazioni native digitali, è il cosiddetto offloading cognitivo, cioè l’abitudine a esternalizzare il pensiero a un chatbot o a qualsiasi algoritmo. Calvino, già nel 1967, nelle conferenze Cibernetica e fantasmi, immaginava una macchina letteraria capace di scrivere romanzi al posto degli autori.
Scrive Roberto Di Caro su L’Espresso che, in alcune opere successive, come Il castello dei destini incrociati, Calvino sembra preso da estremi creativi. In realtà, l’esercizio è inverso: è una costruzione perfettamente regolata, come da un algoritmo, ma frutto della mente umana.
Non è solo Calvino a trattare questo tema. In una breve favola intitolata La macchina per fare i compiti, Gianni Rodari spiega in modo efficace quanto sia essenziale non appaltare alla tecnologia il ragionamento e lo sforzo di imparare faticando. Dobbiamo impegnarci a resistere alla tentazione, laddove possibile, perché, che ci piaccia o no, la macchina diventerà sempre più potente, precisa e all’altezza di svolgere i compiti che le affidiamo.
Come si previene questo rischio?
Gli studenti devono iniziare a sperimentare e convivere con l’intelligenza artificiale fin da piccoli, per accrescere la consapevolezza nei confronti della tecnologia. Poi, per riprendere Calvino, occorre continuare a insegnare le competenze di base: la scrittura, il sapere far di conto, l’imparare poesie a memoria. Altrimenti, non saranno in grado di interagire con i chatbot in maniera intelligente. Senza una metodologia rigorosa, l’IA viene utilizzata solo per ottenere una risposta immediata. È così, non possiamo farci niente. Che ci piaccia o no, siamo animali abitudinari. Da questo motivo è nata l’esigenza di introdurre anche esami nei quali agli studenti si offre la possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale, posto che si adotti una metodologia strutturata con regole ferree per garantire la trasparenza nel suo utilizzo e incoraggiare a sviluppare una postura critica nei confronti delle risposte generate dall’IA.
Nell’epoca dei chatbot per tutti, la capacità di mettere in discussione le sue risposte sempre più precise diventa una risorsa fondamentale.
Il pensiero critico, ossia la capacità di saper discernere tra fake news e informazioni vere, di interpretare un testo, un fenomeno o un argomento, rappresenterà un elemento di differenziazione in un mercato del lavoro sempre più competitivo. E, in ogni caso, la diffusione dell’IA non porta solo rischi, ma, anzi, rappresenta un’enorme opportunità.
Quale?
Come è stato sottolineato più volte, ci può rendere meno schiavi del lavoro routinario. Questo significa offrirci più tempo da dedicare alle attività creative e riflessive, che, appunto, consentono di affinare il pensiero critico.
Tornando al contesto educativo, se queste sono le qualità richieste ai cittadini di oggi, cosa deve fare la scuola prima e l’università poi per formarli nella direzione da lei indicata?
C’è bisogno di una premessa: la specie umana è sempre più longeva e le carriere lavorative si stanno allungando. Questa evoluzione avviene in un momento in cui le nuove tecnologie accelerano l’obsolescenza delle competenze, che, soprattutto nel campo tecnico-scientifico, diventano vecchie in maniera sempre più rapida. Di conseguenza, lo studente dovrà “imparare a disimparare”.
In che modo?
Bisogna valorizzare gli aspetti utili delle discipline umanistiche, vale a dire quelle caratteristiche della filosofia e della letteratura che favoriscono lo sviluppo del pensiero critico e del pensiero laterale, aumentandone la presenza nei percorsi accademici tecnici. Interiorizzare l’elasticità al cambiamento attraverso un approccio interdisciplinare consente di aggiornarsi, conservando la conoscenza pregressa utile. Il tutto in un sistema educativo in cui l’alfabetizzazione tecnica all’uso dell’IA deve essere introdotta già a partire dalle scuole.
Questi cambiamenti interessano anche il suo mestiere, quello del docente.
Certo. Il liceo, e in Italia anche l’università, vanno innovati non solo nei contenuti, ma anche nelle modalità didattiche, superando il modello esclusivo della lezione frontale per formare gli studenti alle difficoltà e all’importanza del dibattito fin da adolescenti. In altre parole, a seguire il metodo Calvino.