Addio al lavoro da manager, c’è chi molla tutto e si butta sullo sport

Di il 25 Novembre, 2025
Sono sempre di più i responsabili marketing che in America sentono di voler abbandonare il proprio lavoro per intraprendere un'altra strada in cui la pubblicità è più creativa, empatica e stimolante
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Sono sempre di più i direttori marketing che lasciano le grandi aziende per entrare nel mondo dello sport professionistico.

La ragione principale? Trovare un ruolo più autentico e coinvolgente, lontano dalla “ruota del criceto” aziendale, anche se questo significa rinunciare a un po’ di stabilità.

Un trend che si sta affermando sempre di più soprattutto in America, dove molti Chief Marketing Officer sentono che il lavoro in azienda si riduce alla mera vendita di prodotti mentre nel contesto sportivo, invece, si lavora su valori, comunità e identità collettiva.

Un cambiamento drastico, contro corrente che, però, in certi casi ha lanciato questi ex direttori verso il successo, come spiega il Wall Street Journal.

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Chi l’ha fatto davvero

Tra coloro che hanno intrapreso questa nuova carriera c’è Julie Haddon, ex dirigente di Amazon e DreamWorks, che deciso di diventare CMO della National Women’s Soccer League per portare competenze digitali e di brand building in un contesto dove il marketing non è solo vendita, ma costruzione di una comunità di tifosi.

Haddon ha spiegato che lavorare nello sport significa “essere parte di qualcosa che ha un impatto culturale immediato”, molto diverso dalla routine aziendale.

L’hanno seguita Jason White, come si legge sempre sul Wall Street Journal, che ha lasciato la cannabis company Curaleaf per diventare CMO della Fanatics Betting & Gaming e Whitney Bell, che dopo esperienze in Unilever, Lyft e Clutch, oggi è responsabile marketing del Toronto Tempo della WNBA.

White ha sottolineato come nello sport il marketing sia più veloce, empatico con le sensazioni dei consumatori e meno vincolato da cicli di prodotto rigidi.

Ed è anche il caso di Lydia Colaresi, ex dirigente di Johnson & Johnson, che ha scelto di lavorare nel settore sportivo proprio per la possibilità di connettere brand e fan attraverso esperienze digitali immersive.

Colaresi ha scritto in un post sul suo profilo LinkedIn che la forza dello sport sta nella capacità di creare un ecosistema dove dati, emozioni e community si intrecciano.

Secondo i dati diffusi dalla società Taligence, metà dei dirigenti che hanno assunto la carica di CMO nel settore sportivo nel 2024 proveniva da un settore diverso, una percentuale che quest’anno è salita al 67%.

E solo il 5% dei dirigenti nominati CMO di un’azienda di vendita al dettaglio nel 2024 e nel 2025 proveniva, invece, da settori diversi.

Ambizioni e prospettive

Queste figure hanno, senza dubbio, in comune non pochi dettagli ma la ricerca e la volontà di trovare un ambiente più autentico, dove il marketing non è solo strategia commerciale ma parte integrante dell’esperienza dei tifosi.

Lavorare per una squadra significa immergersi in un contesto che vive di passione, rituali e momenti condivisi: ogni campagna si intreccia con l’energia di uno stadio, la voce di una community, in un terreno in cui lo storytelling si alimenta di emozioni reali e dove la comunicazione digitale diventa il ponte tra il brand e la vita quotidiana dei fan.

Per molti CMO, il lavoro in azienda è come una “ruota del criceto”: si corre senza sosta per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Nel mondo dello sport, invece, ogni campagna si lega a momenti culturali e sociali: una partita, una vittoria, un evento live.

È un marketing che vive di emozioni e che si misura non solo in KPI ma nella partecipazione attiva di migliaia di persone.

Senza dubbio, più coinvolgente, pensato come un laboratorio privilegiato in cui si studia come fare storytelling emozionale, engagement reale e andare verso un uso sofisticato dei dati per personalizzare la fan experience.

Non si tratta più di vendere un prodotto, ma di alimentare una passione collettiva e questa è la leva più attrattiva per quei manager stanchi di timbrare cartellini e della solita, snervante, corsa contro il tempo.

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Chiara Buratti
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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).