Quando l’uso dell’intelligenza artificiale rovina le scelte di marketing

Di il 30 Ottobre, 2025
La pubblicità non è solo tecnologia ma identità, ritualità ed empatia. A pagare il conto della mancanza anche soltanto di uno di questi elementi sono state aziende come Mango, Coca-Cola e Swatch

L’intelligenza artificiale è entrata a pieno titolo nel mondo della comunicazione visiva, promettendo efficienza, innovazione e creatività aumentata. Ma il confine tra sperimentazione e superficialità è sottile e il pubblico non perdona.

Ne sanno qualcosa tre grandi aziende come Mango, Swatch e Coca-Cola che, di recente, hanno sperimentato l’uso dell’IA in campagne pubblicitarie che, anziché generare entusiasmo, hanno intaccato la reputazione e credibilità delle società.

Questi scivoloni, scrivono Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano sul Sole 24 Ore, hanno provocato reazioni negative collettive, nate in seguito alla percezione della campagna come offensiva, incoerente o superficiale.

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Foto: Unsplash.

Mango e la perfezione artificiale

Nel tentativo di cavalcare l’onda dell’innovazione, lo scorso anno, il marchio di fast-fashion Mango ha scelto di affidarsi all’IA per generare modelli dalle fattezze impeccabili.

Corpi levigati, simmetrici e privi di imperfezioni: un’estetica iperrealista che ha subito sollevato un’ondata di critiche.

Le critiche e l’hashtag #FakeModels, diventato virale sui social, ha sintetizzato il malcontento, accusando il brand di promuovere standard irrealistici e di sostituire il lavoro umano con simulacri digitali.

In realtà, l’iniziativa di marketing vedeva al centro la collaborazione con influencer e non modelle professioniste e aveva lo scopo di promuovere la diversità e mostrare come i vestiti potessero essere indossati da persone reali nella vita di tutti i giorni.

Il risultato, però, è stato opposto a quello sperato.

Il cosiddetto backlash non si è limitato alla questione etica, ma ha toccato corde più profonde: la fiducia del pubblico, la trasparenza del processo creativo e il ruolo sociale della moda.

Nell’era dell’inclusività, l’uso di corpi perfetti e inesistenti ha mostrato quanto l’IA, se non governata da una spiccata sensibilità sul piano sociale e culturale, possa generare cortocircuiti dannosi per le aziende.

Swatch e il gesto contraddittorio

Ma Mango non è stato il solo a fare i conti con questi problemi, specifica Il Sole 24 Ore.

Una campagna video di Swatch, ritirata dopo le accuse di razzismo, ha dimostrato quanto il linguaggio visivo sia fragile e culturalmente sensibile.

Il gesto di mimare gli occhi a mandorla, usato per simulare un sorriso, è stato percepito come offensivo da parte di diverse popolazioni asiatiche e ha spinto l’azienda svizzera a scusarsi pubblicamente.

L’uso dell’IA nella creazione del contenuto non ha attenuato la responsabilità del brand. Al contrario, ha amplificato la percezione di superficialità e disconnessione culturale.

In un mondo iperconnesso, dove ogni attimo può essere analizzato e contestualizzato in tempo reale, l’errore non è più solo creativo, ma sistemico.

E il caso Swatch evidenzia come l’IA, se non accompagnata da una supervisione umana consapevole, rischi di replicare stereotipi anziché superarli.

Coca-Cola e il gelo dell’algoritmo

Anche Coca-Cola è finita nella trappola degli spot generati con l’IA.

Un video natalizio, interamente generato con l’intelligenza artificiale, avrebbe dovuto rappresentare un esperimento di creatività aumentata e invece per molti spettatori è risultato uno spot senz’anima, privo di calore umano e di autenticità.

Nonostante al termine della pubblicità comparisse la scritta “generato da Real Magic AI”, Coca-Cola è stata sepolta da commenti negativi su tutti i social.

C’è chi addirittura accusava l’azienda americana di avergli “rovinato il Natale”.

Bollata come pubblicità distopica, ha sollevato interrogativi sul ruolo dell’emozione nella comunicazione di marca.

Se l’IA può generare immagini e narrazioni, può anche trasmettere empatia? Il caso Coca-Cola suggerisce che la risposta, almeno per ora, è incerta.

L’algoritmo può imitare la forma, ma fatica a replicare la sostanza emotiva. E in un periodo come il Natale, dove il marketing si nutre di ritualità e connessione, l’assenza di anima diventa un difetto strutturale.

Immagine: Canva.

Marketing come responsabilità culturale

Questi tre casi dimostrano che l’adozione dell’IA nel marketing non è solo una questione tecnologica, ma sociale.

L’IA può amplificare la creatività, ma anche gli errori. Può accelerare la produzione, ma anche la crisi. In un ecosistema comunicativo iperconnesso, ogni contenuto è esposto a interpretazioni immediate e globali.

E la vera innovazione oggi sta nel saper coniugare due intelligenze: artificiale e culturale.

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Chiara Buratti
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Chiara Buratti muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 2011 al "Tirreno" di Viareggio. Nel 2012 si laurea in Comunicazione Pubblica e nel 2014 consegue il Master in Giornalismo. Dopo varie esperienze, anche all'estero (El Periódico, redazione Internazionali - Barcellona), dal 2016 è giornalista professionista. Lavora nel web/nuovi media e sulla carta stampata (Corriere della Sera - 7, StartupItalia). Ha lavorato in TV con emittenti nazionali anche come videoeditor e videomaker (Mediaset - Rete4 e Canale 5, Ricicla.tv).