Mubi e Netflix. Le startup dello streaming, miliardarie in modo diverso

Di il 21 Giugno, 2025
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Con l'ultimo round di investimenti, la piattaforma per film d'autore è valutata un miliardo di dollari, mentre l'azienda statunitense supera i 500 miliardi. Due modelli che hanno plasmato l'on-demand

Con l’investimento di 100 milioni di dollari da parte della società di venture capital californiana Sequoia Capital, Mubi, il servizio streaming dedicato al cinema d’autore e indipendente, ha raggiunto la quota di un miliardo di dollari di capitale finanziario.

Questo traguardo arriva all’indomani del superamento da parte di Netflix della soglia dei 500 miliardi di dollari di capitalizzazione, che rendono il portale on-demand per eccellenza il più grande soggetto nel mercato dei contenuti audiovisivi.

Con i suoi quasi 520 miliardi di dollari, Netflix vale infatti due volte e mezzo Disney – poco oltre i 200 miliardi – e conta circa 300 milioni di sottoscrittori in tutto il mondo.

Due dati che danno l’idea delle dimensioni attuali – e delle potenzialità – del settore dello streaming, che è stato più volte dato per spacciato nei periodi in cui le sottoscrizioni sembravano calare o fermarsi.

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Foto: Unsplash.

Cammino di Netflix

Aldilà della differenza contenutistica dei cataloghi — la cosiddetta peak tv sembra ovunque in declino, sia a livello di quantità, sia di qualità — Mubi e Netflix rappresentano i due poli di una tensione di mercato ancora fortemente dinamica.

Il percorso delle due piattaforme – diverse per natura e intenti, ma entrambe nate come startup rivolte a specifiche esigenze di consumo – sottolineano potenzialità e criticità di un mercato che non ha mai fermato la sua espansione.

Netflix nasce nel 1997 come startup di noleggio online di dvd e dopo circa dieci anni trasforma il proprio focus di business nella fornitura di contenuti audiovisivi in streaming. Non solo film, ma anche e soprattutto serie televisive.

Dal 2007, la società ha aggiornato il suo piano aziendale e ha deciso di farsi produttore — o meglio, “committente esclusivo” — di contenuti originali. Una nuova veste inaugurata concretamente nel 2012.

Nello stesso anno, anche YouTube ha provato a seguire la stessa strada, salvo poi rendersi conto dell’insuccesso di inseguire una strategia à la Netflix.

Nel 2016, l’azienda fondata da Marc Randolph e Reed Hastings si è aperta al mercato globale.

È stato allora che, in coppia con Prime Video, ha inaugurato l’attuale era dello streaming come modello transnazionale di produzione e distribuzione dell’audiovisivo.

La capacità di aver aperto le porte del mercato dello streaming e aver introdotto — e comunicato in maniera efficace — innovazioni che sarebbero poi diventare la regola per qualsiasi altro operatore ha reso Netflix il pioniere e il termine di paragone fondamentale per la cultura on-demand.

Ora di Mubi

Nel 2007, mentre Netflix pianificava la sua svolta, il giovane imprenditore di origini turche Efe Çakarel fondava Mubi — inizialmente chiamata The Auteurs. Una startup incentrata sulla distribuzione online del cinema d’autore, che oggi ha sede a Londra.

La vicinanza d’intenti ha permesso di instaurare fin dal 2008 una partnership con la compagnia di distribuzione di film d’autore Criterion Collection, permettendo a Mubi di affermarsi come servizio per una nicchia molto esigente e competente di utenti cinefili.

Il modello globale inaugurato da Netflix e Prime Video nel 2016, seguito dal lungo periodo di lockdown tra il 2021 e il 2021 — con conseguente chiusura dei cinema — hanno giovato anche a Mubi, che ha cavalcato l’onda ed espanso il suo raggio d’azione.

Oggi, il portale è anche produttore di contenuti, distributore esclusivo di titoli pregiati e main partner — anche a livello organizzativo — di diversi festival di settore.

È diventato un soggetto indispensabile nel mercato cinematografico.

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Due racconti

Le storie delle startup Netflix e di Mubi muovono su direttrici non così distanti, poiché entrambe si muovono nello stesso mercato globale – su più ambiti, dalla produzione alla distribuzione.

Quello che distanzia i due portali streaming, oggi che anche Mubi si dedica alle serie, è la modalità di raccontare il proprio catalogo e la propria offerta.

Di conseguenza, è diversa anche la costruzione del proprio pubblico di riferimento.

Il focus di Netflix è l’ormai proverbiale raccomandazione: utilizzando la piattaforma si ha l’illusione più o meno veritiera di influenzare la propria esperienza di visione e di contribuire alle future scelte di produzione e acquisizione di contenuti da parte della piattaforma.

Questo approccio combacia con la vocazione generalista di Netflix, negli anni sempre più alla ricerca di una “medietà” capace di accontentare un bacino di pubblico enorme proveniente da diversi Paesi, con l’obiettivo di non perdere abbonamenti, sempre più costosi.

Il modello di Mubi è opposto.

Sul portale non c’è posto per le raccomandazioni legate al singolo utente, ma la proposta di contenuti passa da una cura editoriale che viene rivendicata dalla piattaforma come uno dei suoi servizi di punta.

L’utente di Mubi attende la selezione dei contenuti, si affida alla competenza dei curatori e aderisce a un’immagine condivisa e diffusa di qualità che poggia sulla proposta di titoli spesso presenti ai festival o alle rassegne periodiche dedicate a grandi autori.

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Foto: Canva.

Due modelli

Al di là di come viene percepito il modello di costruzione dell’offerta dei due portali, quello che varia — e che ha portato alla forte differenza nel valore economico delle due aziende — è il focus narrativo e comunicativo che essi mettono in campo.

Nella costruzione dell’offerta di Netflix la componente editoriale e curatoriale è in realtà molto alta, ma viene mascherata e raccontata come il risultato delle scelte condivise tanto del singolo utente quanto della comunità di cui fa parte.

I vari elenchi dei contenuti più visti che compaiono in homepage sono la vetrina dei titoli che la piattaforma ritiene identitari e prioritari, ma li maschera come fossero tendenze generali derivata dalle scelte degli abbonati.

Lo scopo di questa strategia è favorire il coinvolgimento e l’interazione con il proprio pubblico, per favorirne la fidelizzazione e la crescita.

Mubi invece, nonostante abbia ampliato la propria quota di mercato e sia diventato un leader nel comparto dell’on-demand, continua a fare leva sull’imprescindibile binomio di cura editoriale e affidabilità.

Pur nella sua progressiva espansione, Çakarel, attuale amministratore delegato della società, ha deciso di rimanere il punto di riferimento di una nicchia di appassionati ed esperti.

La credibilità guadagnata da Mubi è notevole, al punto che, per un film, il fatto di essere incluso nel suo catalogo ne certifica la qualità.

Nessun incrocio

Il rischio di Mubi è quello di arrivare a una saturazione delle sottoscrizioni, dovute al bacino più ristretto di utenti interessati.

Eppure, la fiducia che gli investitori continuano a riporre in Mubi indica che il potenziale economico di quel particolare settore del mercato audiovisivo è visto come significativo e ancora in espansione.

In più, la crescita di Mubi e del suo modello di offerta non stanno intaccando quella di Netflix e dello streaming di largo consumo.

Nel mercato dell’on-demand, dunque, sembra esserci ancora spazio per tutti.

In questo spazio, Mubi e Netflix si mostrano come due poli, sia per il loro modello economico — in diversi ordini di grandezza — sia a livello narrativo — nei modi di comunicare la propria offerta.

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Foto: Unsplash.

Ci si adatta

I modelli incarnati delle due piattaforme sono così solidi e influenti da incidere sulle strategie aziendali dei competitor.

Se infatti AppleTv+ è sempre più un corrispettivo di Mubi, ma rivolto anche ai meno esperti, Prime Video si sposta decisamente dal lato definibile come “generalismo differenziato”, con un’offerta molto ampia e distribuita su canali tematici variegati.

Nel mezzo ci sono Disney+ e Paramount+, in attesa dell’arrivo in tutto il mondo di Hbo Max.

Queste realtà dipendono da Studios storici e continuano quindi a oscillare tra i due poli, in attesa di capire come consolidare la propria presenza sul mercato on-demand.

Sembra quindi lontana la fine dello streaming, un settore mai stato così grande e diversificato, in grado di ridisegnare i modelli di costruzione e diffusione dei cataloghi cinematografici e delle serie tv, tramite Netflix e Mubi.

Due startup nate per rispondere a esigenze di consumo e che, in meno di 20 anni, hanno spinto i colossi globali del settore ad aggiornare le proprie strategie industriali.

Strategie che, nella seconda metà dell’anno, potrebbero portare a cambiamenti rilevanti, in attesa del 2026, quando si riapriranno le negoziazioni tra produzioni e maestranze per i nuovi contratti.

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Laureato triennale al DAMS di Bologna con una tesi in Semiotica dei Media e magistrale al CITEM in Storia della Serialità, ha un Dottorato di Ricerca in Film & Media Studies. Tra i suoi interessi c’è la Semiotica Strutturale, l’evoluzione del panorama mediale contemporaneo e la possibilità di riavvicinare l’analisi strutturale — specialmente attraverso l’Etnosemiotica matura — allo studio della testualità audiovisiva. È caporedattore della rivista Birdmen Magazine e membro di CUBE - Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica.