TikTok piace sempre di più alla Casa Bianca

Di il 08 Maggio, 2025
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La fama di Trump sul social cinese è in crescita, anche grazie al team social e alla squadra degli influencer Maga. Anche per questo si rimanda il momento di deciderne le sorti

Al presidente degli Stati Uniti Donald Trump TikTok piace sempre un po’ di più. La piattaforma consente infatti un buon mix di viralità e libertà di espressione, almeno secondo gli influencer sostenitori del movimento Make America Great Again.

Eppure, su una sola cosa repubblicani e democratici sembravano essere d’accordo nel Congresso, cioè che TikTok poteva rappresentare una minaccia nazionale.

Durante il suo primo mandato, Trump aveva accusato la piattaforma di sostenere apertamente Joe Biden, il suo avversario alle elezioni presidenziali del 2020, che poi aveva vinto.

Proprio quest’ultimo, lo scorso anno, aveva firmato una legge approvata in maniera bipartisan dal Congresso che sembrava porre una sentenza apparentemente definitiva in capo a TikTok: o ByteDance – la società proprietaria del social media cinese – veniva acquistata da soggetti e fondi americani, o la app sarebbe stata vietata.

Questo accordo non è ancora arrivato.

Si parla di trattative da almeno cinque trilioni di dollari, una somma sufficiente per convincere Trump a sospendere ancora l’applicazione della legge con un nuovo ordine esecutivo.

Probabilmente, c’è anche un’altra ragione dietro la sospensione e cioè che il presidente e le sue politiche vanno forte su TikTok e Trump lo sa.

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Foto: Unsplash.

Meglio i repubblicani su TikTok

Nella nuova amministrazione sono infatti i benvenuti i cosiddetti Maga influencer, che però devono molta della loro popolarità proprio al social cinese.

TikTok consente a Trump di avvicinarsi alla gen Z, secondo quanto riporta il New York Times.

Sono proprio gli zoomer, secondo The Verge, ad aver interagito negli ultimi 100 giorni con l’account @teamtrump, che conta più di nove milioni di follower e quasi tre miliardi di visualizzazioni.

L’account usa un linguaggio di intrattenimento puro, con video che richiamano il trend dell’home tour, come nel caso della portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, che ha mostrato il suo studio proprio nella sede del governo statunitense.

Oppure come il video in cui Trump è assimilato al Papa, per sfruttare l’onda mediatica generata dal Conclave con una canzone dell’eroina Disney Hannah Montana.

Nel mirino dell’account Team Trump anche Kamala Harris, che invece non posta su TikTok da dicembre e aveva raggiunto poco più di 500 milioni di visualizzazioni.

Una strategia comunicativa, quella dei democratici, che si è rivelata fallimentare nonostante abbia tentato di avvicinare i content creator.

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Foto: Unsplash.

Dilemma del prigioniero

Trump è cresciuto e ha navigato un ecosistema fatto di tabloid e televisione tradizionale, per poi aggiornare il proprio stile facendo un uso molto personale del social X, quando era ancora Twitter.

Secondo alcuni commentatori, lo stile sarebbe rimasto invariato, adattandosi soltanto alla tecnologia disponibile.

In realtà, la presenza su TikTok del presidente è ormai quasi interamente costruita sul divertimento dissacrante, sulla satira senza filtri e sull’intrattenimento demenziale.

Gli influencer Maga conoscono altrettanto bene le potenzialità della piattaforma, e non temono che i loro account possano essere per qualche ragione chiusi.

Infatti, nonostante dopo lo shut down di qualche ora, alcuni utenti abbiano denunciato forme più aspre di censura, non è paragonabile ai limiti che si incontrano su app come RedNote.

Dopo aver investito sugli influencer e i podcaster nel periodo pre-elettorale, ora il team del presidente ha abbandonato il contenuto politico ma non la finalità politica.

Sembra infatti che, se il dilemma del prigioniero è tra viralità e sicurezza nazionale, l’America sia pronta a giocarsi le sue carte per non rinunciare a niente.

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Ludovica Taurisano è dottoranda di ricerca in Global History and Governance per la Scuola Superiore Meridionale di Napoli, con un progetto di ricerca sull’editoria popolare e l’informazione politica negli anni Sessanta e Settanta. Con una formazione in teoria e comunicazione politica, si è occupata di processi di costruzione dell’opinione pubblica; ha collaborato con l’Osservatorio sulla Democrazia e l’Osservatorio sul Futuro dell’Editoria di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Oggi è Program Manager per The European House – Ambrosetti. Scrive di politica e arti performative per Birdmen Magazine, Maremosso, Triennale Milano, il Foglio, Altre Velocità e chiunque glielo chieda. Ogni tanto fa anche cose sul palco.