
Foto copertina: il Palazzo del Cinema del Lido di Venezia. Foto: Flickr.
Nicolò Villani ha contribuito alla scrittura di questo articolo.
L’82esima Mostra del cinema di Venezia ha consolidato il ruolo di primo piano del festival tra i maggiori eventi che stanno contribuendo all’espansione dell’industria cinematografica.
Come accaduto per l’ultima edizione di Cannes, anche la giuria di questa nuova edizione della Biennale – presieduta dal regista statunitense Alexander Payne – ha visto un incontro di personalità provenienti da diversi Paesi che sono al contempo i siti dei più interessanti contesti industriali della settima arte.
Ma, mentre critici e cinefili si confrontano sui film, attorno a Venezia 82 si scatena un’economia – mediatica, di comunicazione e sponsorship – che contribuisce a rendere il lato mondano dell’evento una vetrina d’eccezione.
Prima ancora che si potessero guardare e commentare le pellicole, nella canicola di fine agosto facevano notizia gli arrivi al Lido.
Vincitori e vinti
Le premiazioni hanno rispecchiato la varietà dei Paesi e contesti di produzione dei film, assicurando a molti di loro una rappresentanza nei Leoni d’oro assegnati. Questa tendenza potrebbe aver penalizzato alcune pellicole, escluse, dunque, non per mancanza di qualità.
Il Leone d’oro per il miglior film a Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch ha scatenato più di una perplessità di critici e commentatori.
Come accaduto l’anno scorso con La stanza accanto a Pedro Almodóvar, la scelta del film di Jarmusch sembra essere un premio alla stessa idea di cinema della giuria della Mostra del cinema di Venezia.
Oltre alla pellicola in sé, è stato valutato un intero percorso filmografico, come accaduto per il riconoscimento alla carriera attribuito a Werner Herzog.
Così, mentre per i giudici di Cannes il mercato francese era il perno intorno cui inserire una serie di prodotti esteri, Venezia è stata l’occasione per mettere in risalto filmografie diverse, autonome e mature, offrendo a tutte lo stesso palcoscenico.
Meno Netflix, più sperimentazione
Il festival sembra aver accolto la provocazione aperta dal risultato degli ultimi Oscar, a cui la selezione veneziana ha spesso felicemente contribuito: in concorso pochi titoli sembrano rappresentare produzioni roboanti – eccezione fatta per Frankenstein di Guillermo del Toro, da 120 milioni di dollari e a marchio Netflix.
Al contempo, la presenza statunitense si è ritrovata fortemente limitata in quantità e dimensione produttiva.
Proprio di fronte alla vittoria di un film come Anora agli Oscar 2025, resta importante per gli osservatori e i distributori internazionali esplorare al meglio la sezione della Mostra di Venezia più interessante e creativa: Orizzonti.
La sua giuria, presieduta dalla regista francese Julia Ducournau, ha premiato il film messicano En el camino di David Pablos – prodotto anche da Diego Luna.
Si tratta di un’ulteriore prova del fatto che Venezia 82 ha scelto di porre l’accento su Paesi e relativi contesti industriali e creativi meno noti. In questo caso il cinema messicano, che negli ultimi anni è stato in grado di capitalizzare sul mercato i suoi temi e immaginari tipici.
Tra le altre categorie del concorso, è importante sottolineare la forte e pionieristica presenza delle esperienze di Extended Reality di Venice Immersive, che riescono ad anticipare il mercato del VR di diversi anni.
La vittoria di A Long Goodbye regala alla realtà virtuale una dimensione lirica ancora inedita, permettendo di assistere alla materializzazione della demenza senile dall’interno del malato.
Tra questa selezione e la continua presenza in anteprima di prodotti seriali dall’ampio respiro — quest’anno meritano di essere citate Il Mostro di Sollima e Portobello di Bellocchio — Venezia è autenticamente il festival dove la dimensione filmica si traduce nell’immagine di un’intera industria, sfaccettata e in continua trasformazione.
Meno cinema, più marketing
Oltre alle pellicole in concorso, l’82esima Mostra del cinema di Venezia è stata anche il suo red carpet.
Di abiti si parla, anche se con una risonanza inferiore a quella degli Oscar, sulle varie edizioni di Vogue – a partire da quella italiana – e su giornali ed emittenti nazionali, come SkyTg24 e Vanity Fair, e internazionali, da Harper’s Bazaar UK al Guardian.
Per alcuni direttori creativi, il red carpet veneziano è stato anche l’occasione del debutto.
A fare notizia prima ancora dei premi, era stato il cardigan esibito da Julia Roberts con la faccia del regista Luca Guadagnino, autore del film After the Hunt di cui Roberts è protagonista.
Come nel caso del vestito Ralph Lauren indossato da Taylor Swift per annunciare il suo fidanzamento con Travis Kelce e subito andato a ruba online, anche in questo caso i fan hanno cercato ovunque online lo stesso capo indossato da Roberts. L’esito, però, è stato diverso, essendo il cardigan introvabile.
Venezia 82 sui social
Oltre all’haute couture, una galassia di brand e aziende lavora per aumentare le interazioni sui social, prima, durante e dopo il festival.
Non sono mancate le polemiche, anche quest’anno, per la presenza di influencer arrivate a frotte per riempire gli spazi di un calendario di 11 giorni.
Il copione è sempre lo stesso.
Dive – a maggioranza femminile e spesso solo per un giorno – riempiono i feed dei loro profili ma quasi mai finiscono sugli account ufficiali dei marchi stessi o del festival.
Riecheggiano i format iconici dei canali YouTube di Vogue: riprese del dietro le quinte, l’arrivo, la fase di preparazione e i dovuti ringraziamenti ai brand per l’esperienza vissuta.
Dunque, da dove nasce questo fastidio per l’arrivo delle influencer sul tappeto rosso?
Se l’è chiesto anche l’account @thatsfabofficial, account da oltre un milione di follower su Instagram, in un post molto commentato che recita “Cosa ci fa questa sul red carpet?”.
Uno dei commenti più frequenti è l’accusa di degrado del prestigio del festival, dovuta soprattutto alla distanza delle invitate dal mondo della cinematografia.
E questo vale anche per le presenze internazionali.
La blogger di moda Victoria Magrath viene invitata da oltre dieci anni dal brand Armani, conta 1,2 milioni di follower su Instagram e un canale YouTube che è una catena pubblicitaria ininterrotta.
Quest’anno erano assenti a Venezia le italiane Giulia Salemi o Giulia de Lellis, mentre hanno avuto più spazio alcune giovanissime, come Tatiana Luter o Maryna, il cui arrivo al Lido è stato ripreso da testate nazionali come La7 o il Sole 24 Ore.
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Come finanziare il festival
“Siamo lì perché ci invitano, a volte ci pagano, a volte non ci pagano, abbiamo altre attività in adv collaterali”, ha spiegato l’ex tronista Nilufar Addati, invitata ancora una volta da Campari, specificando che “per noi è semplicemente lavoro”.
E, ha aggiunto Addati, “se non ci fossero i brand sponsor del festival, il festival non potrebbe stare in piedi”.
La Mostra del cinema si sostiene anche sul prestigio culturale, nel senso che la sua risonanza mediatica la rende un’occasione ghiotta per le aziende.
Tuttavia, la Biennale di Venezia non è solo quella del Cinema, anzi.
Nel 2020, la mostra Le muse inquiete è stata curata da tutti i sei direttori artistici: Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica e Teatro. Ma attorno a nessuna di queste si genera la stessa visibilità, dunque le stesse possibilità economiche.
Difficile dire se sia un bene o un male.
In ogni caso, ad Addati non è sfuggito il punto, perché, come sancisce nella sua storia Instagram, “prima c’era solamente la stampa, giornalisti, buyer, mentre oggi ci sono cantanti e influencer. Insomma è semplicemente la pubblicità che si evolve con i tempi”.
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Paradosso del content creator
Di fatto, la parabola narrativa è quella della principessa che realizza il sogno di una zucca trasformata in taxi sull’acqua. E se funziona per i cartoni animati Disney, come mai non c’è lo stesso tipo di empatia o entusiasmo per queste storie felici?
Molto è dovuto a un bias culturale, per cui il mestiere del content creator non è ancora ben compreso nella sua totalità, anche se molto diffuso e ormai anche disciplinato sul piano legale.
Agenzie e attori si interfacciano con i brand per cercare il volto più giusto. È un complesso processo di contrattazione in cui il cinema c’entra poco. E non è solo questione di numeri, ma di stile.
Un caso meritevole è la giovanissima Elettra Lastra, con “solo” 118mila follower su Instagram.
Ha debuttato a Venezia l’anno scorso ed è ritornata quest’anno tramite l’azienda di cosmetica Kerastase, ma lo ha fatto in modo brillante, inventandosi persino un collegamento con il mood di Sofia Coppola.
Non bisogna essere tutte cenerentole per andare al ballo del principe. Il salone va riempito, ma gli abiti bisogna saperli portare con intelligenza.
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