L’intelligenza artificiale è entrata a pieno titolo nel mondo della comunicazione visiva, promettendo efficienza, innovazione e creatività aumentata. Ma il confine tra sperimentazione e superficialità è sottile e il pubblico non perdona.
Ne sanno qualcosa tre grandi aziende come Mango, Swatch e Coca-Cola che, di recente, hanno sperimentato l’uso dell’IA in campagne pubblicitarie che, anziché generare entusiasmo, hanno intaccato la reputazione e credibilità delle società.
Questi scivoloni, scrivono Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano sul Sole 24 Ore, hanno provocato reazioni negative collettive, nate in seguito alla percezione della campagna come offensiva, incoerente o superficiale.

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Mango e la perfezione artificiale
Nel tentativo di cavalcare l’onda dell’innovazione, lo scorso anno, il marchio di fast-fashion Mango ha scelto di affidarsi all’IA per generare modelli dalle fattezze impeccabili.
Corpi levigati, simmetrici e privi di imperfezioni: un’estetica iperrealista che ha subito sollevato un’ondata di critiche.
Le critiche e l’hashtag #FakeModels, diventato virale sui social, ha sintetizzato il malcontento, accusando il brand di promuovere standard irrealistici e di sostituire il lavoro umano con simulacri digitali.
In realtà, l’iniziativa di marketing vedeva al centro la collaborazione con influencer e non modelle professioniste e aveva lo scopo di promuovere la diversità e mostrare come i vestiti potessero essere indossati da persone reali nella vita di tutti i giorni.
Il risultato, però, è stato opposto a quello sperato.
Il cosiddetto backlash non si è limitato alla questione etica, ma ha toccato corde più profonde: la fiducia del pubblico, la trasparenza del processo creativo e il ruolo sociale della moda.
Nell’era dell’inclusività, l’uso di corpi perfetti e inesistenti ha mostrato quanto l’IA, se non governata da una spiccata sensibilità sul piano sociale e culturale, possa generare cortocircuiti dannosi per le aziende.
Swatch e il gesto contraddittorio
Ma Mango non è stato il solo a fare i conti con questi problemi, specifica Il Sole 24 Ore.
Una campagna video di Swatch, ritirata dopo le accuse di razzismo, ha dimostrato quanto il linguaggio visivo sia fragile e culturalmente sensibile.
Il gesto di mimare gli occhi a mandorla, usato per simulare un sorriso, è stato percepito come offensivo da parte di diverse popolazioni asiatiche e ha spinto l’azienda svizzera a scusarsi pubblicamente.
L’uso dell’IA nella creazione del contenuto non ha attenuato la responsabilità del brand. Al contrario, ha amplificato la percezione di superficialità e disconnessione culturale.
In un mondo iperconnesso, dove ogni attimo può essere analizzato e contestualizzato in tempo reale, l’errore non è più solo creativo, ma sistemico.
E il caso Swatch evidenzia come l’IA, se non accompagnata da una supervisione umana consapevole, rischi di replicare stereotipi anziché superarli.
Coca-Cola e il gelo dell’algoritmo
Anche Coca-Cola è finita nella trappola degli spot generati con l’IA.
Un video natalizio, interamente generato con l’intelligenza artificiale, avrebbe dovuto rappresentare un esperimento di creatività aumentata e invece per molti spettatori è risultato uno spot senz’anima, privo di calore umano e di autenticità.
Nonostante al termine della pubblicità comparisse la scritta “generato da Real Magic AI”, Coca-Cola è stata sepolta da commenti negativi su tutti i social.
C’è chi addirittura accusava l’azienda americana di avergli “rovinato il Natale”.
Bollata come pubblicità distopica, ha sollevato interrogativi sul ruolo dell’emozione nella comunicazione di marca.
Se l’IA può generare immagini e narrazioni, può anche trasmettere empatia? Il caso Coca-Cola suggerisce che la risposta, almeno per ora, è incerta.
L’algoritmo può imitare la forma, ma fatica a replicare la sostanza emotiva. E in un periodo come il Natale, dove il marketing si nutre di ritualità e connessione, l’assenza di anima diventa un difetto strutturale.

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Marketing come responsabilità culturale
Questi tre casi dimostrano che l’adozione dell’IA nel marketing non è solo una questione tecnologica, ma sociale.
L’IA può amplificare la creatività, ma anche gli errori. Può accelerare la produzione, ma anche la crisi. In un ecosistema comunicativo iperconnesso, ogni contenuto è esposto a interpretazioni immediate e globali.
E la vera innovazione oggi sta nel saper coniugare due intelligenze: artificiale e culturale.




