La Abc cede alle pressioni di Trump e sospende il programma di Jimmy Kimmel

Di il 18 Settembre, 2025
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La messa in onda del famoso late-night è stata interrotta dopo le dichiarazioni critiche del presentatore sull'atteggiamento del presidente e degli esponenti Maga riguardo all'omicidio di Charlie Kirk
Foto copertina: l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ospite al Jimmy Kimmel Live! nel 2015. Foto: PICRYL.

Il copione si ripete: la Casa Bianca chiede, Abc esegue.

La sospensione del late-night show condotto da Jimmy Kimmel, due mesi dopo la cancellazione del programma del collega Stephen Colbert da parte della Cbs, è la trama di un film già visto: quello dell’industria dei media che si piega al volere del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, impegnato in una battaglia a tutto campo contro le testate non allineate e i giornalisti critici.

A differenza della giustificazione economica – poco credibile per tempismo, ma comunque più plausibile – portata da Cbs per la chiusura della trasmissione di Colbert, l’interruzione senza scadenza del Jimmy Kimmel Live! è stata decisa da Abc e dalla sua proprietaria, la Walt Disney Company, a seguito delle affermazioni pronunciate dal presentatore nel suo monologo durante la puntata di lunedì 15 settembre.

Monologo nel quale Kimmel prendeva di mira gli esponenti Make America Great Again, che, sosteneva, “stanno cercando di dipingere questo ragazzo che ha ucciso Charlie Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro”, per ottenere un tornaconto politico.

Il conduttore ha poi ironizzato sull’atteggiamento di Trump che, dopo aver messo le bandiere della Casa Bianca a mezz’asta per lutto, alla domanda di un cronista su come stesse dopo l’omicidio di Kirk, ha risposto “molto bene” e ha subito cambiato discorso, parlando della nuova sala da ballo in costruzione alla Casa Bianca.

Basta poco

Queste affermazioni sono state sufficienti a scatenare la reazione di Brendan Carr, fedelissimo di Trump a capo della Federal Communications Commission, l’agenzia federale che regola le comunicazioni via radio, televisione e cavo.

Nella giornata del 17 settembre, Carr, ospite al podcast conservatore condotto da Benny Johnson, ha definito “disgustosa” la condotta di Kimmel e ha sollecitato Disney a prendere provvedimenti, aggiungendo che “le aziende possono trovare dei modi per correggere questi comportamenti e intervenire”.

Altrimenti, ha minacciato, “ci sarà più lavoro da fare per la Fcc”.

La risposta del gruppo non si è fatta attendere.

Come ricostruisce il New York Times, la decisione di sospendere il late night show di Abc è stata presa dall’amministratore delegato di Disney, Robert Iger, insieme alla responsabile della divisione tv, Dana Walden.

Prima ancora della scelta di Disney, è arrivata la presa di posizione di Nexstar Media, tra i maggiori proprietari di stazioni televisive negli Stati Uniti e affiliata con la Abc, con circa il 10% delle 225 stazioni collegate alla rete.

Nexstar ha dichiarato ieri che non avrebbe più trasmesso la trasmissione, a partire dalla sera stessa.

Secondo Nexstar, infatti, i commenti di Kimmel sarebbero “offensivi e insensibili in un momento critico per il dibattito politico nazionale”.

Il quotidiano newyorkese sottolinea che Carr, essendo capo della Fcc, ha potere sull’assegnazione delle licenze di trasmissione concesse dal governo federale alle emittenti locali.

In più, ricorda Bbc, Nexstar è in attesa del via libera della Fcc per finalizzare l’acquisizione del competitor Tegna – proprietario di circa il 5% delle stazioni affiliate alla Abc –, tramite un’operazione del valore di 6,2 miliardi di dollari.

È la stessa dinamica di quanto accaduto a Colbert, sacrificato da Paramount per assicurarsi l’approvazione di Carr sull’accordo di unione con Skydance, un’intesa da otto miliardi di dollari.

In entrambi i casi, Carr ha festeggiato le sospensioni, deridendo i presentatori rimossi dalle due reti televisive.

Free_Unsplash_An ABC news helicopter sitting on the ramp at Van Nuys just after a storm.Van Nuys Airport, Los Angeles, United States Published on January 9, 2021

Foto: Unsplash.

Di recente

Jimmy Kimmel è l’ultimo bersaglio di una serie di attacchi che la seconda amministrazione Trump ha riservato alla stampa e ai media statunitensi.

E proprio Abc è stata una delle emittenti più colpite.

Dopo aver pagato, lo scorso dicembre, 15 milioni di dollari e avere imposto al suo anchorman George Stephanopoulos di scusarsi per chiudere una causa intentata da Trump per una dichiarazione del giornalista nei suoi confronti, l’emittente di proprietà della Disney a giugno ha prima sospeso e poi non ha rinnovato il contratto del corrispondente Terry Moran per aver definito Stephen Miller, consigliere politico del presidente, “world-class hater”.

Moran, comunque, non ha rivisto le sue posizioni, confermando quello che aveva dichiarato.

Il giorno dopo la morte di Charlie Kirk, Msnbc ha allontanato il suo giornalista e analista politico Matthew Dowd, reo di aver dichiarato che la retorica radicale e reazionaria dello stesso attivista potesse avere avuto un peso nel suo omicidio.

“Pensieri di odio generano parole di odio, che a loro volta finiscono per trasformarsi in azioni di odio. Non puoi coltivare pensieri terribili, pronunciare parole terribili e poi non aspettarti che ne seguano di conseguenza azioni terribili”, aveva affermato Dowd.

La decisione di Msnbc si inserisce nel solco delle dichiarazioni del vicepresidente JD Vance, che il 15 settembre, dai microfoni dello show di Kirk condotto dalla Casa Bianca, aveva invitato a colpire chi celebrava l’omicidio.

“Denunciate e, anzi, denunciate anche il datore di lavoro” di coloro che hanno condiviso post che celebrano l’assassinio dell’attivista, ha detto Vance.

La richiesta ha già avuto i suoi primi effetti.

Secondo il Washington Post, sono oltre 30 le aziende e le istituzioni pubbliche americane – tra servizi segreti e università – che hanno preso provvedimenti in questo senso, licenziando, nel complesso, circa 35 persone.

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La sede del New York Times a New York, realizzata dall’architetto italiano Renzo Piano. Foto: Wikimedia Commons.

Infine, lo scorso 16 settembre, Trump ha fatto causa al New York Times e a quattro suoi giornalisti per diffamazione, sostenendo che alcuni articoli del quotidiano e il libro Lucky Loser: How Donald Trump Squandered His Father’s Fortune and Created the Illusion of Success – scritto da due firme della testata – avessero lo scopo di danneggiare la sua reputazione di uomo d’affari e politico, in vista delle elezioni presidenziali del 2024.

La lista di attacchi e querele del governo statunitense alla stampa si allunga e ormai in tanti, dall’altra parte della barricata, hanno iniziato a capitolare.

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Francesco Puggioni
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Journalist writing on European politics, tech, and music. Bylines in StartupItalia, La Stampa, and La Repubblica. From Bologna to Milan, now drumming and writing in London.

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