Foto copertina: Ezra Klein alla presentazione del suo libro “Why We’re Polarized” nel 2020. Fonte: Wikimedia Commons.
Tra i democratici e Ezra Klein la corda si sta stringendo.
Il giornalista del New York Times si appresta a essere la voce più autorevole tra le schiere democratiche statunitensi.
Da tempo Klein commenta la politica americana, dal microfono di uno dei podcast, The Ezra Klein Show, tra i più longevi e di successo nel panorama internazionale, con mezzo milione di iscritti su YouTube e quasi lo stesso numero di ascoltatori mensili.
E secondo quanto riporta Axios, questo cambio di ruolo sta preoccupando sia il Times, sia i democratici.
I democratici vogliono tutto
Circa due mesi fa, su un altro podcast, di un altro giornale, sempre americano, il co-fondatore di Vox si è sbottonato un po’, esponendosi più eloquentemente circa la sua visione del Partito Democratico americano.
Il podcast in questione è “The Political Scene” ed è condotto da David Remnick, Premio Pulitzer, esperto sovietista, editorialista fedele del New Yorker.
La puntata ha un titolo eloquente: “Ezra Klein’s Big Tent Vision of the Democratic Party”, cioè il partito “piglia-tutto”, una definizione coniata dallo scienziato politico Otto Kirchheimer.
Il “catch-all” party è una forma-partito che si delinea a partire dalla seconda guerra mondiale, con l’estensione del diritto di voto e la formazione dei partiti di massa.
Per “tutto”, secondo il politologo italiano Gianfranco Pasquino, si intendono proprio gli elettori.
Ovviamente, la massimizzazione del consenso passa da un “indebolimento” ideologico e un allargamento dei confini degli interessi che il partito stesso difende.
La conseguenza è spesso un annacquamento dell’identità del partito stesso, che indirizza le sue battaglie verso temi capaci di ottenere un consenso di tipo trasversale.
Secondo Klein, questa sarebbe stata la sconfitta dei democratici.
Una guida per i democratici
Klein è una voce autorevole in tutto il mondo, e ancora di più nella politica americana.
Prima editorialista al Washington Post e The American Prospect, ha ottenuto il successo internazionale con il suo podcast.
Di recente, il suo articolo sull’omicidio Charlie Kirk ha fatto discutere, per aver detto che Kirk, in un contesto democratico in cui il disaccordo dovrebbe essere una virtù, stava “facendo politica nel modo giusto”.
Contemporaneamente, al New Yorker, ha accusato il presidente Donald Trump di aver creato un clima di frattura violenta nel paese.
Privatamente, secondo le fonti, Klein ha incontrato diversi senatori democratici in estate, e ha intrattenuto colloqui privati con due potenziali candidati alle presidenziali del 2028: l’ex-vice Kamala Harris e Gavin Newsom, governatore della California e star dei nuovi media.
Proprio quest’ultimo su X ha parlato di “agenda dell’abbondanza”: una dicitura che ai maliziosi è sembrato un chiaro riferimento al libro scritto da Klein assieme a Derek Thompson, podcaster, giornalista dell’Atlantic ed esperto di economia e politiche del lavoro.
Klein non ha temuto di recente di esortare i senatori democratici a un severo shutdown, schierandosi apertamente in favore dell’approccio ostruzionista.
Questo filo tra i democratici ed Ezra Klein, e la supposta ingerenza del giornalista – che pertiene esclusivamente all’ambito dell’autorevolezza e del carisma – suscita il fastidio di diverse parti.
Da un lato, c’è chi si aspetta una reazione del Times, che resta ancora compatto, anche perché sugli articoli di Klein gira molto traffico.
Jill Abramson, ex direttrice esecutiva del quotidiano, ha dichiarato ad Axios che, in sostanza, Klein è un opinionista, non fa cronaca e non sta sconfinando fuori dalla sua tradizionale attività: dire esattamente quello che pensa.

La sede newyorkese del New York Times. Fonte: Wikimedia Commons.
Giornalista, consulente o candidato?
Eppure qualcosa sta cambiando, nel rapporto tra i democratici ed Ezra Klein.
Innanzitutto, ad ascoltarlo, e con maggiore serietà, sono proprio i politici.
Inoltre, lo spettro ideologico dei suoi contenuti sta assumendo colori più nitidi.
Per i democratici, che cercano di riconquistare il voto dei blue-collar e della working class americana, è pericoloso essere associati a un “leader intellettuale”.
Ma è una paura infondata, perché semmai Klein agirà come eminenza grigia, e non certo come candidato.
Anche se non è passato inosservato il rebranding del suo podcast e della sua stessa immagine, passata da un volto glabro frontale e con occhiali a montatura larga, a un sorriso luminoso e affabile su una folta barba.
Perfetto per un manifesto elettorale.




