La lunga e complicata partita per il controllo del Daily e Sunday Telegraph si chiude, almeno per ora, con un nulla di fatto.
RedBird Capital, il gruppo statunitense guidato da Gerry Cardinale, ha ritirato la sua offerta da 500 milioni di sterline per l’acquisto delle due testate, tra le più influenti del Regno Unito e particolarmente lette nell’elettorato conservatore.
Il passo indietro arriva nonostante l’ultima proposta fosse stata strutturata per rispettare le nuove regole decise dal governo britannico, che oggi consentono a un fondo sovrano straniero di detenere fino al 15% delle quote di un giornale.
Una modifica introdotta dopo il blocco dell’operazione del 2023, quando la joint venture tra RedBird e IMI, società controllata dalla famiglia reale di Abu Dhabi, aveva rilevato i debiti della famiglia Barclay, storica proprietaria delle testate.
In quell’occasione Westminster era intervenuto vietando del tutto gli investimenti diretti da parte di governi stranieri nella stampa nazionale.
Questa volta, l’offerta prevedeva proprio una quota del 15% per IMI, in linea con la legge.
Ma, secondo quanto emerso, il governo era comunque orientato a sottoporre l’operazione a una revisione regolatoria formale. Una prospettiva che RedBird ha scelto di non affrontare.

Le pressioni interne
Alcune fonti vicine al dossier indicano però un altro elemento decisivo: l’opposizione interna del Telegraph.
Nelle ultime settimane, la redazione aveva pubblicato numerosi articoli critici nei confronti dell’offerta, sollevando dubbi sulla trasparenza degli investitori e sugli effetti che il nuovo assetto societario avrebbe potuto avere sull’indipendenza editoriale.
Un atteggiamento che, secondo queste fonti, avrebbe contribuito in modo significativo alla decisione di RedBird di fare un passo indietro.
La società, dal canto suo, ha dichiarato di rimanere “pienamente fiduciosa nel futuro del Telegraph e del suo team di livello mondiale”, impegnandosi a lavorare a una soluzione “nell’interesse dei dipendenti e dei lettori”.
Dubbi geopolitici e timori per l’influenza estera
L’operazione ha inoltre continuato a scontare un clima di forte sensibilità politica intorno al ruolo di capitali provenienti dal Golfo e dalla Cina nella stampa britannica.
IMI è controllata dalla famiglia reale di Abu Dhabi, mentre RedBird è stata oggetto di domande sui rapporti con investitori cinesi e, più in generale, sulla solidità e provenienza dei suoi finanziamenti.
La società ha definito tali legami “insignificanti”, ma le preoccupazioni sono rimaste.
Un portavoce di IMI ha ribadito che la priorità del gruppo “è porre fine all’incertezza e garantire il successo di lungo periodo del Telegraph”, aggiungendo che resta in contatto con altre parti interessate e coopererà pienamente con il governo e le autorità per trovare una soluzione.
Un futuro ancora sospeso
Il ritiro di RedBird lascia uno dei giornali più influenti del Regno Unito in una situazione di limbo che dura ormai da oltre due anni.
Nonostante il pagamento dei debiti della famiglia Barclay da parte della joint venture RedBird–IMI, la proprietà delle testate è rimasta sospesa tra interventi normativi, resistenze politiche e dubbi sulla governance.
Cardinale avrebbe voluto utilizzare l’acquisizione per espandere l’influenza del Telegraph negli Stati Uniti, convinto di poter intercettare un pubblico conservatore insoddisfatto dell’offerta informativa americana.
Ora la palla torna al governo e ai potenziali nuovi investitori.
IMI assicura di voler completare la vendita. Ma, in un contesto politico sempre più attento all’indipendenza della stampa e al peso del capitale straniero, trovare una soluzione definitiva potrebbe richiedere ancora molto tempo.




