
È stata un’edizione particolare e con una forte vocazione internazionale quella del 78° festival di Cannes, che ha assegnato la prestigiosa Palma d’oro a Un semplice incidente del regista iraniano dissidente Jafar Panahi.
A partire dalla giuria principale, guidata da Juliette Binoche, che vedeva al suo interno esponenti del mondo del cinema da tutto il mondo – l’attrice Alba Rohrwacher per l’Italia – fino alle selezioni dei diversi concorsi, Cannes ha saputo esprimere l’immagine di una cinematografia contemporanea in grado di connettere mondi e culture differenti, ma collegate.
Diverse le coproduzioni, anche a firma di registi importanti e ricorrenti all’interno della kermesse, che hanno messo in luce possibili strade di dialogo tra modi di intendere il cinema e, sopratutto, l’industria.
Locale 2.0
Infatti, nella partecipazione di più Paesi alla produzione in un unico titolo va vista l’intenzione di mercati locali di aprirsi a dimensioni più ampie e contaminare pubblici, maestranze, narrazioni e proposte.
In questo, il festival di Cannes si è dimostrato ancora molto ricco, affermando però anche il primato del mercato francese nel contesto europeo, con un’ampia selezione di titoli prodotti e co-prodotti dall’industria cinematografica del Paese.
La vittoria del film di Panahi – realizzato clandestinamente dopo la scarcerazione del regista nel 2023 – rimarca poi una forte presa di posizione politica del festival, in linea col ruolo di sensibilizzazione sulla necessità della libera espressione spesso evidenziata dal palco di eventi simili.
In particolare, Panahi si conferma una volta di più l’autore in grado di catalizzare queste spinte, capace di trasformare la condizione di oppressione e clandestinità in cui opera in lavori che illuminano le selezioni dei festival ai quali partecipa.
Oltre a Cannes, già Venezia e Berlino hanno più volte evidenziato i lavori dell’autore iraniano e la forza rivoluzionaria che le sue opere riescono a esprimere.
Europa, mondo
Se i premi Oscar di quest’anno hanno dato ragione alla Palma d’oro assegnata ad Anora nell’edizione precedente – a testimonianza di un’attenzione particolare verso pellicole più indipendenti e d’autore -, la scommessa di Cannes 2025 sembra comunque quella di mettere in risalto le produzioni europee.
Il mercato decreterà se questa scommessa avrà dato i suoi frutti.
Nel frattempo va anche sottolineato come la spinta al cinema europeo non abbia sostituito il dialogo di Cannes con l’establishment hollywoodiana.
La presenza in concorso di autori statunitensi come Ari Aster, Kelly Reichardt e Wes Anderson, oltre a quella di Spike Lee e Christopher McQuarrie – con il blockbuster Mission: Impossible – The Final Reckoning – fuori concorso, sono segnale di un festival consapevole, che non vuole chiudersi all’interno di bolle ideologiche e provinciali.
È infatti col dialogo tra cinema d’autore e mainstream che l’efficacia della selezione di Cannes ha successo e viene acclamata sia dall’industria sia dai critici.
Allo stesso tempo, l’aver assegnato a Robert De Niro e Denzel Washington la Palma d’oro alla carriera è un’ulteriore dichiarazione di vicinanza nei confronti del cinema statunitense e del suo legame con la cultura cinematografica europea.
Il consolidamento di Cannes – insieme a quello altrettanto forte del festival del Cinema di Venezia – afferma una volta di più la centralità istituzionale europea nel selezionare, posizionare e decretare il valore dei film che poi si affermano come i migliori prodotti anche fuori dai confini continentali.
Di fronte a paventate chiusure dei confini del mercato interno statunitense e a forme di protezionismo degli studios di Hollywood – molti dei quali hanno anche eliminato le politiche inclusive, come voluto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump –, la garanzia di uno sguardo come quello espresso da Cannes fa ancora sperare in un cinema capace di porre con forza una lettura poetica e sincera del mondo.